Attualità

Perché non si cresce

Questo era il titolo di un editoriale di sabato 2 marzo 2019  pubblicato  sul Corriere della Sera e firmato dai professori Alesina e Giavazzi. Sostanzialmente la tesi esposta riguardava il fatto che la diminuzione della crescita della nostra economia risultasse legata alla mancata approvazione di norme che aprissero alla  concorrenza nel settore dei  taxi (grande bacino elettorale) e alla mancata assegnazione con gara europea per la gestione degli  gli stabilimenti balneari. Nessuno contesta la validità del  concetto che la concorrenza possa recare dei vantaggi all’utenza in quanto determina un abbassamento della soglia economica di accesso ad un bene o ad un servizio. Contemporaneamente però va anche valutato come l’abbassamento di tale soglia in termini economici  determini contemporaneamente una diminuzione di valore aggiunto quindi di creazione di ricchezza (non importa se nella rilevazione sia espressione di monopoli o oligopoli).

Nello specifico poi nell’articolo si legge anche un  riferimento ad Uber che, come soggetto imprenditoriale, diventa espressione non più di una apertura alla concorrenza indicata dai due professori. La società quotata negli Stati Uniti infatti opera in Europa attraverso una S.r.l. di diritto olandese con un capitale versato risibile. Quindi ogni azione di responsabilità nei suoi confronti si rivelerebbe assolutamente impossibile.

Tornando alla tesi di Alesina e Giavazzi, nel caso di Uber operante sul territorio nazionale ci troveremmo di fronte ad una vera e propria “deregulation normativa” a danno non certo alla corretta applicazione del principio della concorrenza ma per i  successivi danni patrimoniali ed azzeramento del valore della formazione professionale richiesta per accedere a tali professioni.

Per quanto riguarda gli stabilimenti balneari (altro bacino elettorale), questa nuova legge che favorisce i vecchi locatari si sarebbe dovuta accompagnare con un adeguamento del  canone d’affitto e valori più attuali al fine di  ovviare alla mancata messa a bando europeo. Tuttavia risulta incredibile come questi due fattori assolutamente marginali nella crescita economica (taxi e stabilimenti balneari) possano venire  indicati  come le ragioni della mancata crescita italiana.

In Italia da oltre trent’anni non si elaborano politiche industriali proprio perché la politica ed i governi, influenzati dai vari  Alesina e Giavazzi, espressione classica della mercatura economica italiana, hanno periodicamente abbracciato prima la new economy e con essa la inevitabilità delle delocalizzazioni produttive (espressione invece della old economy che il governo Prodi addirittura finanziò).

Successivamente si proposero sogni pindarici di sistemi economici espressione di un equilibrio basato sull’apporto delle app/gig/sharing Economy. Tutti termini  che ora risultano definitivamente scomparsi da oltre sei mesi dal lessico giornaliero  semplicemente perché la crisi economica legata alla contrazione della domanda internazionale nelle cui filiere le nostre PMI risultano inserite ha ancora una volta dimostrato come l’economia reale non abbia niente a che fare con le ricette periodicamente proposte  dalle colonne dei vari giornali o nei vari convegni da simili sognatori di economie futuriste.

La nostra ripresa economica può risultare solo ed esclusivamente  espressione di  una seria e rinnovata  politica industriale la quale necessita INNANZITTUTTO di  una tutela normativa della filiera da monte a valle per tutti i settori merceologici, cioè del Made in Italy il cui valore risulta sconosciuto ai dotti professori.

Sembra incredibile, infatti, come il mondo di questi personaggi non abbia ancora compreso che il miglior marchio e brand mondiale che venga ancora oggi  indicato e percepito nel suo  contenuto culturale e sintesi di competenze professionali sposate ai know how industriali sia il Made in Italy e cosa rappresenta per i consumatori del mercato globale.

Questo intervento apparso sabato scorso sul Corriere della Sera relativo alla  crisi economica del nostro paese dimostra come il default culturale trovi la sua massima espressione in queste analisi infantili prive di ogni senso della proporzione tra i fenomeni affrontati ed il  loro peso economico.

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La redazione

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