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2024-1957: è ufficiale, si torna indietro

Dalle ultime rilevazioni risultano 387.600 auto e furgoni commerciali prodotti nei primi nove mesi nell’anno in corso a differenza dei 567.525 del 2023. Un dato che riporta il Paese al lontano 1957. Contemporaneamente i lavoratori sono passati dai 52.000 del 1989 ai 15.000 attuali.

La specificità italiana della crisi dell’automotive si inserisce all’interno dell’Unione Europea con un delirio ideologico che vede colpire l’intero settore industriale dell’automobile (che vale circa 12 milioni di posti di lavoro il 12% del PIL e 1.000 di tasse) per l’applicazione di protocolli ambientalistici assolutamente irraggiungibili i quali, per contro, tendono a favorire la sola Cina. Questa, va ricordato, come non solo finanzi le prime cinque case automobilistiche cinesi ma fornisce loro un’energia a basso costo prodotta dalle centrali a carbone, in quanto interpreta l’auto elettrica come un elemento decisivo per conseguire l’obiettivo di allargare all’Europa la propria ingerenza politica ed economica.

Ammesso, allora, che ci sia ancora la possibilità di invertire questo trend, quali potrebbero essere le prime scelte operative e strategiche da adottare?

In puro ordine numerico:

  1. Rinvio di cinque anni dell’introduzione delle normative Euro7.
    2. Annullamento immediata del divieto di vendita e produzione di motori endotermici nell’Unione Europea fissata al 2035, anche in considerazione che si è passati dal cavallo al motore a scoppio non certo attraverso un decreto regio
  2. Sostegno fiscale a tutte quelle aziende che diminuiscano, per unità di prodotto, l’energia utilizzata indipendentemente dalla sua natura.
  3. Abbandono dell’utopia di una decarbonizzazione a favore di una riduzione fiscalmente incentivata dell’utilizzo di ogni forma di energia, in quanto anche quella cosiddetta green richiede una quantità di risorse finanziarie pubbliche, e quindi di un costo sociale insostenibile e che drena risorse al bilancio statale riducendo la stessa spesa sociale.
  4. L’adozione di un protocollo sulla base del quale ogni iniziativa economica e strategica in Europa venga giudicata in rapporto ai posti di lavoro creati a tempo indeterminato e con una retribuzione dignitosa, piuttosto che sulla base di deliranti visioni politiche ed ideologiche.
    6. Incentivazione fiscale per ottenere progressivamente nel giro di 5/10 anni un parco macchine circolante di automobili Euro 5 o Euro 6 il quale permetterebbe la riduzione del 50% dell’attuale quantità di CO2 emessa dalle auto, pari al solo 1% delle emissioni complessive del nostro Paese.
    7. La distruzione della filiera del tessile abbigliamento in Italia ed in Europa successivamente alla sospensione dell’accordo Interfibre dovrebbe suggerire lo scenario futuro riservato al settore Automotive europeo esposto ad una totale transizione verso una insensata mobilità elettrica di pura genesi ideologica ed interesse politico.
    8. Considerare la Cina come un partner commerciale ma non certo un alleato e, viceversa, favorire ogni alleanza politiche e strategica con l’India la quale rappresenta l’unico contrappeso politico ed economico all’interno dei Brics.
    9. Riportare il sistema industriale al centro dello sviluppo in quanto, seppur ancora oggi in termini energetici venga considerato energivoro, presenta un fabbisogno energetico decisamente inferiore a quello richiesto dalle sole Major dell’economia digitale.
    10. Colpire l’automobile credendo di diminuire le emissioni offre lo spessore della “ideologica competenza” in quanto in Irlanda i Data System inquinano più delle abitazioni mentre Google e Microsoft inquinano quanto la Croazia.
  5. In termini europei, in più, solo il riconoscimento delle specificità economiche dei diversi paesi che compongono l’Unione può assicurare un supporto decisivo al conseguimento dei traguardi di sviluppo e sostenibilità, e non certo attraverso un’unica ed onnicomprensiva politica economica ma solo attraverso diverse politiche specifiche per ogni realtà economica.

Ma soprattutto, e siamo al punto 12, riportare il concetto del lavoro, e la dignità che è in grado di assicurare, al centro dell’attenzione della politica come elemento fondamentale per assicurare una vita democratica ad ogni cittadino europeo.

N.B. si fa notare come il termine “dazi” non si stato usato in quanto, pur rappresentando un legittimo strumento di difesa, certifica troppo spesso il ritardo, da verificare se colposo o peggio doloso, di una intera classe politica e dirigente nella comprensione delle dinamiche di mercato ampiamente prevedibili.

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