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Canada e India ai ferri corti: espulsi i reciproci ambasciatori

La crisi diplomatica in atto da ormai un anno tra India e Canada ha portato nei giorni scorsi all’espulsione reciproca degli ambasciatori. La crisi è aperta dal 18 settembre 2023, giorno in cui il primo ministro del Canada, Justin Trudeau, durante un intervento parlamentare, riferendo di aver ricevuto “elementi credibili” dalle agenzie di sicurezza, accusò pubblicamente l’India di essere coinvolta nell’omicidio dell’attivista sikh Hardeep Singh Nijjar, cittadino canadese, avvenuto due mesi prima in territorio canadese. L’attivista ucciso era coinvolto nel movimento per il Khalistan, una patria sikh che dovrebbe comprendere il Punjab indiano, l’unico Stato in cui la comunità è maggioritaria (circa 60 per cento della popolazione, contro il due per cento scarso in tutta l’India) e alcuni altri territori (i confini variano a seconda dei gruppi).

Il movimento per il Khalistan, nato verso la fine del dominio britannico, raggiunse il suo culmine nel Punjab negli anni Ottanta, mentre dagli anni Novanta è andato scemando, sia per la repressione delle forze dell’ordine sia per le divisioni interne. La terra dei sikh oggi è vagheggiata soprattutto tra gli espatriati. Nuova Delhi, tuttavia, mantiene una linea durissima contro il separatismo sikh. L’organizzazione Sikhs for Justice (Sfj), di cui Nijjar faceva parte, è classificata come associazione illegale in India. Il gruppo militante Khalistan Tiger Force (Ktf), di cui Nijjar era ritenuto il capo dalle autorità indiane, è stato designato come organizzazione terroristica. La questione sikh è stata motivo di frizioni tra India e Canada anche prima della grave crisi in corso, da quando Trudeau è in carica. Le accuse scambiate tra i due governi hanno però raggiunto toni drammatici ieri.

Il ministero degli Esteri indiano ha emesso tre comunicati nel corso della giornata: il primo per contestare l’inclusione del suo ambasciatore a Ottawa e di altri diplomatici tra le “persone di interesse”, ovvero informate dei fatti e convocabili durante le indagini sul caso Nijiar; il secondo per annunciare il ritiro dell’ambasciatore e di altri diplomatici e funzionari; il terzo per comunicare l’espulsione di sei diplomatici canadesi. Nel frattempo, indiscrezioni della stampa, in particolare del quotidiano “The Washington Post”, che ha interpellato funzionari del governo canadese, hanno rivelato che i diplomatici indiani sono stati in realtà espulsi. L’espulsione, infine, è stata confermata dal ministero degli Esteri del Canada, dopo un quadro allarmante illustrato da una conferenza stampa della Polizia reale canadese a cavallo (Rcmc).

La Polizia canadese ha parlato senza mezzi termini del “coinvolgimento di agenti del governo indiano in gravi attività criminali in Canada”, tra cui “omicidi, estorsioni e altri atti criminali di violenza”, scoperto attraverso “molteplici indagini in corso”. L’Rcnc ha spiegato che, in seguito a diverse denunce, ha creato nel febbraio di quest’anno una squadra multidisciplinare che “ha appreso una notevole quantità di informazioni sull’ampiezza e la profondità dell’attività criminale orchestrata da agenti del governo indiano”. Le indagini hanno rivelato anche che diplomatici e funzionari consolari indiani “hanno sfruttato le loro posizioni ufficiali per svolgere attività clandestine, come la raccolta di informazioni per il governo indiano, direttamente o tramite i loro rappresentanti; e altri individui hanno agito volontariamente o tramite coercizione”.

Secondo quanto riferito, il vice commissario della polizia federale, Mark Flynn, ha tentato di incontrare gli omologhi delle forze dell’ordine indiane per discuterne, ma “questi tentativi non hanno avuto successo”. Nel fine settimana, quindi, Flynn, insieme alla consigliera per la Sicurezza nazionale e l’intelligence, Nathalie Drouin, e al viceministro degli Esteri, David Morrison, ha incontrato funzionari del governo indiano per presentare alcune “evidenze” e chiedere collaborazione in merito a quattro problemi molto gravi: l’estremismo violento che colpisce entrambi i Paesi; i collegamenti tra agenti del governo indiano e omicidi e atti violenti; l’uso della criminalità organizzata per creare la percezione di un ambiente non sicuro che prende di mira la comunità sud-asiatica in Canada; l’interferenza nei processi democratici.

Il ministero degli Esteri del Canada ha motivato l’espulsione di sei diplomatici e funzionari consolari indiani con l’indisponibilità dell’India a collaborare e con la necessità di proteggere la sicurezza dei canadesi: “Per far progredire l’indagine e consentire alla Rcmp di interrogare gli individui interessati, è stato chiesto all’India di rinunciare alle immunità diplomatiche e consolari e di collaborare all’indagine. Purtroppo, poiché l’India non era d’accordo e dati i problemi di sicurezza pubblica per i canadesi, il Canada ha notificato l’espulsione a questi individui”, si legge nel comunicato. La ministra Melanie Joly si è rammaricata, sottolineando che è “nell’interesse di entrambi i Paesi arrivare in fondo a questa questione”.

Per Nuova Delhi, invece, “il governo canadese non ha condiviso un briciolo di prova con il governo dell’India, nonostante le numerose richieste”; contro i diplomatici indiani sono state lanciate “imputazioni assurde” e “ridicole”; da Ottawa sono giunte solo “affermazioni prive di fatti” e dietro “il pretesto di un’indagine” c’è “una strategia deliberata di diffamazione dell’India per guadagni politici”. Il ministero degli Esteri indiano, a sua volta, ha accusato il governo del Canada, ed esplicitamente il suo primo ministro Trudeau, di aver “concesso spazio a estremisti violenti e terroristi per molestare, minacciare e intimidire diplomatici indiani” giustificando tali attività “in nome della libertà di parola”. Oltre a lamentare la mancata repressione in Canada dell’attivismo separatista sikh, il ministero ha attribuito a Trudeau una “evidente ostilità” nei confronti dell’India, con motivazioni politiche.

La vicenda per Nuova Delhi è da attribuire “all’agenda politica del governo Trudeau che è incentrata sulla politica della banca dei voti”. Dunque, Trudeau – leader del Partito liberale, nettamente indietro rispetto al Partito conservatore in tutti i sondaggi più recenti in vista delle elezioni federali dell’anno prossimo – utilizzerebbe il caso Nijiar a scopo elettorale, per attingere alla “riserva di voti” dell’elettorato sikh (una comunità di circa 800 mila persone, su una popolazione di circa 39 milioni). Anche a costo delle relazioni di lunga data, 75 anni, con l’India, con cui sussistono importanti legami storici ed economici.

Il caso Nijiar, comunque, non è isolato. Ne esiste uno analogo negli Stati Uniti, dove un cittadino indiano di nome Nikhil Gupta è stato incriminato per il coinvolgimento in un “complotto sventato” per assassinare a New York un “leader del movimento separatista sikh”, Gurpatwant Singh Pannun, fondatore del gruppo Sikhs for Justice. Qualche mese fa, inoltre, il quotidiano “The Washington Post” ha pubblicato un’inchiesta – “infondata” secondo Nuova Delhi – sulle “campagne di repressione transfrontaliera” condotte negli ultimi anni dall’India. La testata ha intervistato “più di tre decine di attuali ed ex alti funzionari negli Stati Uniti, in India, Canada, Regno Unito, Germania e Australia”, interviste che hanno descritto una “posizione globale sempre più aggressiva della Raw”, l’agenzia di spionaggio indiana Research and Analysis Wing.

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