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Debito pubblico… la rinegoziazione… il consolidamento…

Rinegoziare un debito risulta quasi sempre possibile partendo dal riconoscimento di solvibilità attribuita al debitore da parte del creditore. La rinegoziazione si pone il doppio obiettivo di offrire uno scenario futuro migliore alleggerendo gli obblighi attuali al debitore per rientrare nel proprio impegno finanziario come all’istituto di credito a fronte di un allungamento dei tempi di rientro per un aumento dei propri margini derivanti dalla gestione del credito.

In altre parole, non esiste nel mondo reale alcuna rinegoziazione che non preveda un aggravio dei costi per il sottoscrittore e contemporaneamente un aumento dei margini o perlomeno l’inserimento di una nuova garanzia a tutela del creditore. Questo avviene nel mondo reale e questo viene assolutamente disconosciuto, se non addirittura negato, quando il sindaco di Roma afferma come la rinegoziazione del proprio debito comunale non presenti nessun costo aggiuntivo.

Le condizioni principali relative ad un debito sono essenzialmente identificabili con l’entità della rata legata al fattore tempo di rientro. Tuttavia non si può non considerare anche l’aspetto della garanzia che viene fornita all’istituto di credito stesso. Nel caso dell’indegno debito romano, a differenza di quanto afferma  un imbarazzante sindaco in carica, la rinegoziazione riguarderà non  solo le condizioni per il parziale rientro (o quantomeno il pagamento degli interessi) ma anche l’utilizzo per esempio della Cassa Depositi e Prestiti come ulteriore garanzia fornita all’istituto di credito per allungare i tempi. In questo sostanzialmente si tradurrà l’impegno da parte del governo relativamente al debito della città di Roma. Quindi, ancora una volta, verranno scaricati sui risparmiatori italiani (la CdP è finanziata dai risparmiatori delle Poste) ulteriori oneri in forma di una garanzia ulteriore per il debito capitolino.

Alle risibili affermazioni del sindaco di Roma si aggiungono le altrettanto farneticanti “soluzioni innovative” relative ad una possibile rinegoziazione del debito pubblico italiano come ad un suo eventuale consolidamento. Si ricorda in tal senso come con il termine “consolidamento” si intenda di fatto annullare parzialmente o in toto  il valore nominale del titolo di debito ed azzerare la stessa funzione di garanzia che i titoli del debito pubblico esercitano. La sola idea rappresenta una follia già proposta alla fine degli anni 80 dall’allora ministro De Michelis a fronte delle esplosioni del debito pubblico tra 1988 e 1991 nato dall’accordo politico tra Craxi, Andreotti e Forlani nel quale venivano centralizzati tutti i disavanzi degli enti pubblici locali. Una scelta tanto disastrosa quanto irresponsabile da portare il nostro Paese alla crisi finanziaria del 1992 con il prelievo forzoso del 6 per mille del governo Amato.

Un’idea, allora quanto oggi, espressione di un’assoluta ignoranza sulle complesse valutazioni del mondo finanziario che sottendono ogni nuovo finanziamento del debito pubblico di un Paese come l’Italia. La sola idea di una simile operazione per  l’Italia ora, alla quale nessuno chiede di rientrare nel debito ma perlomeno di  riequilibrarlo di fronte ad un PIL che non cresce, manderebbe tutti i mercati finanziari nel panico e farebbe schizzare lo spread a Quota Mille. Se poi questi “innovatori finanziari” della rinegoziazione inserissero anche un ritorno alla Lira la catastrofe finanziaria sarebbe totale ed assoluta.

Tornando, quindi, alla rinegoziazione del debito in termini generali il sindaco di Roma, che ovviamente non ha la responsabilità della massa assoluta del debito (la quale va equamente attribuita ai sindaci precedenti Veltroni, Rutelli, Alemanno e Marino) dimostra tuttavia di essere perfettamente in linea, per quanto riguarda la mancanza di conoscenza della gestione di un debito, con gli stessi “innovatori” che ispirano la politica economica del governo attuale.

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