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Economia industriale: il trend si conferma

Le flessioni consecutive della produzione industriale arrivano a quota 16. Mai dal dopoguerra ad oggi si è assistito ad una ininterrotta caduta della produzione industriale aprendo scenari problematici.

Mentre il ministro dell’Economia assicura che la prossima manovra finanziaria non sarà “lacrime e sangue”, nel più assoluto disinteresse governativo ma anche dell’intera opposizione, assistiamo ad un processo di deindustrializzazione senza precedenti in Italia confermato dalla sedicesima flessione della P.I.

Ovviamente le cause di questa trend negativo possono essere riportate all’assoluta mancanza da decenni di una politica industriale quanto, di conseguenza, a una responsabilità diffusa di ogni compagine governativa.

Tuttavia, mentre nel maggio 2023 la Francia nazionalizzava EDF con l’obiettivo di assicurare un basso costo delle bollette elettriche alle imprese e alle famiglie, in Italia si è assistito alla sospensione del mercato tutelato e alla continua e ulteriore privatizzazione di Eni Enel Multiutility ed ora, anche se in un diverso settore strategico, di Tim. Gli effetti di questa strategia si sono rivelati devastanti per l’economia italiana nel suo complesso.

Dal 2023 al 2024 il differenziale pagato in più per l’energia elettrica dalle imprese quanto dalle famiglie italiane è passato, rispetto alla Francia, da un +27% (2023) ad un +71% (2024). Contemporaneamente lo stesso differenziale con la Spagna si è innalzato da un +30% (2023) ad un +68% (2024) e con la Germania si passa da un +23% ad un +29% tra il 2023/24.

Nel medesimo anno il costo dell’energia elettrica risulta diminuita in Italia del -10%, mentre in Germania si è ridotta del -18%, in Spagna del -59%, infine in Francia del -69%.

Uno scenario strategico che ovviamente induce gli imprenditori già sul campo a ridurre gli investimenti in attesa di una inversione della recessione internazionale, ma al tempo stesso allontana sempre più gli investimenti esteri nel nostro Paese.

Mentre sull’onda dei risultati elettorali in Gran Bretagna e in Francia riemergono le proposte per una patrimoniale o per un innalzamento della pressione fiscale, andrebbe ricordato un altro fattore fondamentale in ambito economico Il quale condiziona le stesse scelte strategiche, cioè l’efficienza della spesa pubblica.

In altre parole, questo parametro indica gli effetti positivi relativi alla vita quotidiana e al benessere dei cittadini in rapporto alla crescita della spesa pubblica.

In questo contesto, allora, andrebbe ricordato come il nostro Paese risulti tristemente al 123esimo posto per quanto riguarda l’efficienza della spesa pubblica, persino dietro ad Haiti.

Come inevitabile conseguenza, quindi, e come del resto anche la gestione del PNRR ha ampiamente dimostrato, accrescere la dotazione di risorse pubblica della spesa pubblica non si traduce in un miglioramento dei servizi ai cittadini, e tantomeno aumentano le opportunità di lavoro in quanto dal 2019 ad oggi le retribuzioni sono diminuite in Italia del -6,9%.

Questa situazione complessa, e come già detto espressione di responsabilità condivise dalle più diverse compagini governative sia politiche che tecniche che si sono alternate alla guida del nostro Paese negli ultimi trent’anni, esprime comunque una regressione culturale senza precedenti.

In altre parole, tutti i governi si sono dimostrati completamente digiuni di qualsiasi capacità di analisi e sviluppo di una politica industriale o di considerazione dei fondamentali economici e rappresentano il primo problema del nostro Paese, il quale ancora una volta, come da trent’anni a questa parte, si dimostra assolutamente impreparato alla sfida di un mercato globale.

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