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Fiscal Drag
Mentre si scopre che i dipendenti del settore privato (15 milioni) assieme a quelli del settore pubblico (3,2 milioni) per ottenere i duecento (200) euro di “aiuti” dal governo, 16,6 euro al mese, dovranno compilare un apposito modulo, rendendo ancora centrale la burocrazia, si moltiplicano le dichiarazioni di esponenti del governo in carica nelle quali attribuiscono alla guerra in Ucraina l’impennata dei prezzi, in particolare quelli energetici. Basterebbe ricordare come, al 23 febbraio 2022, il gas segnasse già un +537% al quale il governo aveva reagito con due risibili manovre di circa 8 miliardi tra il 2021/22, mentre lo stesso governo, dall’inizio della impennata dei prezzi, espressione dell’inflazione in forte crescita, si trovi ad incassare (un arricchimento senza causa quindi) ogni mese circa 3,3 miliardi (40 miliardi all’anno) grazie all’aumento nominale della base imponibile.
Negli anni ‘80, un altro periodo di forte inflazione, questo prelievo fiscale venne definito “Fiscal Drag”ed indicava l’extragettito fiscale dovuto alla applicazione di aliquote percentuali (quindi accise escluse) calcolate su di una base imponibile nel suo valore nominale in costante aumento.
Fino ad ora il governo Draghi ha ridotto in aprile le accise di 25 centesimi e, con il calcolo dell’Iva, quindi di 30,5 centesimi al litro sul prezzo alla pompa dei carburanti, con un costo complessivo per le casse dello Stato di circa 4.4 miliardi all’anno.
Conti alla mano risulta impegnato per alleggerire la morsa dei prezzi solo l’11% dell’extragettito fiscale incassato con il Fiscal Drag nel solo 2022, ma già quantificabile anche nel il secondo semestre del 2021, e contemporaneamente ci si dimostra granitici nella “strategia” di aiutare l’economia con i soliti bonus fiscali i quali NON incidono minimamente nelle disponibilità dei cittadini e dei lavoratori.
Si sceglie, quindi, la solita politica economica legata agli “effetti delle spesa pubblica sul benessere di cittadini” (A) preferita a quella di una riduzione immediata della pressione fiscale la quale avrebbe il merito di manifestarsi senza alcuna attesa in forma di una maggiore capacità di acquisto a parità di retribuzioni (B).
Quest’ultima (B) indubbiamente sarebbe preferibile alla strategia (A) ma contemporaneamente avrebbe come conseguenza la riduzione dei margini di una spesa pubblica aggiuntiva che permettono le solite politiche di aumento dei dipendenti pubblici (+1,3 milioni min. Brunetta) in aggiunta agli inutili bonus per settori specifici i quali attribuiscono un sempre maggiore potere discrezionale e senza precedenti al governo e alla maggioranza che lo sostiene. Del Fiscal Drag, quindi, il governo utilizza solo l’11% delle disponibilità che il maggiore prelievo fiscale assicura (quindi già ampiamente pagato dai contribuenti) mentre il resto rimane nelle disponibilità del governo Draghi e della sua maggioranza con l’obiettivo di legare interi settori economici al sistema politico proprio attraverso il sistema dei bonus fiscali.
Solo per offrire un esempio, basti ricordare come il privilegiare uno specifico settore come quello automobilistico destinando degli incentivi particolari (per altro inutilizzati per le auto elettriche) determini inevitabilmente una discriminazione verso altri settori economici non beneficiati da tale bonus come, per esempio, il settore calzaturiero che rappresenta un importante settore industriale con una importante concentrazione di manodopera. In altre parole, dimostrando di avere compreso come all’interno di un periodo di eccezionale difficoltà, cominciato nel marzo 2020, si dovrebbero rielaborare le strategie complessive anche con cognizioni di base (gli effetti della politica fiscale) per alleggerire la spesa dei cittadini ed inserire nel complicato mondo economico un segnale realmente deflattivo in un mercato sotto pressione.