Gli studi di settore sono stati sostituiti dagli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA)
Enrico Sangalli
Dopo un ventennio di onorato servizio, gli studi di settore sono stati definitivamente archiviati per essere sostituiti da un nuovo strumento, gli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA).
Da premettere che gli studi di settore sono stati oggetto di importanti battaglie giuridiche che hanno visto contrapposti i contribuenti, da una parte, all’Agenzia delle entrate, dall’altra, per il riconoscimento dell’attendibilità dello strumento e del suo utilizzo, tout court, quale esclusiva presunzione atta a motivare l’atto accertativo. Nell’anno 2009, una serie di sentenze della suprema corte di cassazione ha derubricato la portata accertativa degli studi, inquadrandoli tra le presunzioni semplici che devono integrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza per giustificare l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
Negli anni gli studi sono stati aggiornati e affinati alla realtà economica del Paese Italia migliorando il grado di attendibilità dei risultati proposti.
Nel frattempo è cresciuto l’impegno per la lotta all’evasione con il Legislatore che ha varato importanti provvedimenti tesi ad aumentare e automatizzare le informazioni in possesso delle autorità: si va dalla comunicazione dei dati dei conti correnti, allo scambio automatico delle informazioni finanziarie con Paesi esteri fino all’istituzione dell’obbligo di fatturazione elettronica.
In questo clima di esasperato controllo, in cui spesso il diritto alla privacy dei cittadini è stato sacrificato in nome della lotta all’evasione fiscale, vengono varati gli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale in sostituzione degli studi di settore considerati non più al passo con i tempi.
I nuovi Indici, ci dicono non essere più uno strumento accertativo, bensì uno strumento di compliance fiscale che dovrebbe aumentare la propensione del contribuente ad adottare comportamenti sempre più virtuosi.
Gli indici sono elaborati sulla base di analisi di dati e informazioni relativi a più periodi d’imposta, acquisiti dalle dichiarazioni fiscali, dalle fonti informative disponibili presso l’Anagrafe tributaria, le Agenzie fiscali, l’Istituto nazionale della previdenza sociale, l’Ispettorato nazionale del lavoro e il Corpo della Guardia di Finanza, nonché da altre fonti (art. 9-bis co. 3 del DL 50/2017).
I dati precompilati dall’Agenzia delle Entrate relativi ai precedenti periodi di imposta e scaricati dal contribuente, o dal suo intermediario, dovranno essere integrati con quelli dell’anno di riferimento per poi essere dati in pasto al programma “il mio ISA” che sentenzierà la promozione o la bocciatura del soggetto sulla base di una pagella con voti che vanno dall’uno al dieci.
Come abbiamo anticipato, non si tratta di uno strumento accertativo, ma di uno strumento di compliance: con voti superiori all’8 si accederà a benefici premiali crescenti al crescere del voto, con punteggi inferiori al 6 si entrerà in liste selettive per successivi controlli da parte degli enti accertatori. Sarà possibile, per il contribuente, adeguarsi ai maggiori redditi proposti con l’intento di raggiungere un maggior indice di affidabilità.
Ed è qui che scatta il problema e il grande dibattito che sta animando illustri commentatori, istituzioni, addetti ai lavori e associazioni di categoria: il programma di calcolo è stato reso disponibile troppo a ridosso delle scadenze previste per il pagamento delle imposte, tanto che il Governo ha provveduto a posticipare le scadenze al 30 settembre; sono stati segnalati errori nei dati precompilati che sono stati oggetto di modifiche con decreto del 9 agosto 2019; i programmi di calcolo sono stati più volte aggiornati non ultimo, in data 23 agosto 2019.
Tutto questo dovrebbe indurre il Legislatore a considerare, almeno per il 2019, solo in via sperimentale il nuovo strumento: come potrebbe ritenersi attendibile la selezione di posizioni anomale, così come l’attribuzione di benefici, effettuata sulla base di un processo di calcolo che ha manifestato così diffuse e pervasive incertezze nonché veri e propri errori?
Andando oltre nel ragionamento, rispetto a questo minimo assunto logico di partenza, è possibile chiedersi se effettivamente questo strumento sia attuale: è opportuno che, con tutte le informazioni a disposizione delle autorità di controllo (dati bancari, fatturazione elettronica, dati delle liquidazioni iva, ecc.), serva uno strumento statistico di affidabilità con cui decretare il destino dei contribuenti: paradiso per alcuni, inferno per altri?
Facilmente il meccanismo sembra anacronistico e stridente, come per altro è apparsa l’introduzione della disciplina delle società in perdita sistematica in un momento di crisi economica generalizzata come quello che da alcuni anni contraddistingue il nostro Paese.
Ancora una volta appare privilegiata la logica del gettito rispetto a quella della razionalità e dell’equità.
Possibilmente servirebbe una revisione completa del sistema fiscale, in primis a livello nazionale, che preveda semplificazioni, maggiori certezze e limiti all’utilizzo delle presunzioni legali comportanti l’inversione dell’onere della prova cui consegue una grave limitazione del diritto alla difesa di ciascun cittadino, ma anche un’armonizzazione a livello europeo, senza la quale sarà molto arduo raggiungere una vera integrazione che non può prescindere da una politica economica comune e da sistemi fiscali omogenei.