Attualità

Il neo individualismo progressista

Il pronome che da decenni molti “progressisti” affermano essere il proprio elemento distintivo potrebbe venire indicato nel concetto di “Noi in quanto comunità”, in contrapposizione all’individualismo, e quindi al pronome “Io solo ed unico”, di cui viene accusata la controparte politica definita ed intesa come reazionaria.

Con il passare degli anni, evidentemente, molte cose cambiano, e probabilmente lo stesso approccio ideologico può subire delle mutazioni impensabili soltanto pochi anni addietro, soprattutto per quanto riguarda la sfera individuale del singolo.

Va ripetuto, ancora una volta, come ogni persona abbia il diritto, ed il legittimo riconoscimento dello stesso,, di sentirsi compiuto all’interno della propria dimensione personale in ogni possibile versione e dimensione, in particolare modo in relazione alla propria essenza personale ed intimità sensuale oltre che sessuale.

Il riconoscimento di questo diritto non può incrinare il difficile equilibrio del  contesto sociale nel quale tutti Noi (il famoso pronome “progressista”) ci dobbiamo integrare e con il quale è inevitabile trovare una forma di coesistenza. Nel caso opposto il riconoscimento valoriale delle singole persone viene modificato sulla base di una scelta ideologica.

In altre parole, chiunque legittimamente potrebbe sentirsi e proporsi come la versione umana di un tostapane, ma questo legittimo desiderio non può certo trasformarsi in un diritto di pretendere che al supermercato si possano trovare delle fette da toast delle dimensioni adatte alle aspettative di chi tale si sente.

Viceversa, il mondo progressista, o che tale si considera forse solo come scelta di un posizionamento politico geografico, sta perdendo completamente la visione generale e collettiva delle priorità delle persone una volta definite “comuni” ma ora diventate “banali”, a favore dell’esaltazione di quelle sensibilità individuali, specialmente se minoritarie, anche se queste richiedano uno sforzo ulteriore per la loro definizione.

Se questa ideologia fosse realmente progressista chiederebbe di assicurare il riconoscimento di queste sensibilità, e con esso l’individuazione di quei fattori per dare loro una dignità, a quelle persone che intendono partecipare alle Olimpiadi, ma per le quali la definizione del genere di appartenenza risulta non inequivocabile. Invece si sceglie di non tutelare le aspettative, anche se legittime, delle persone “comuni e banali” come le atlete femminili, togliendo loro la dignità nonostante si siano preparate per quattro anni e che si vedono scippare il titolo da una persona che ha le medesime ambizioni, ma con forti diversità morfologiche rispetto alle atlete donne.

Sembra incredibile come il vero nemico delle donne e delle atlete sia oggi rappresentato dalla metamorfosi di quel movimento il quale una volta affermava di battersi per la loro equiparazione al genere maschile ed ora invece vuole annullare la loro stessa specificità.

Se questo processo non troverà uno sviluppo normativo a tutela del contesto femminile, tutti noi potremmo essere legittimati a sentirci dei tostapane e a chiederci perché il supermercato non ci prenda in alcuna considerazione, tacciandolo per di più di razzismo.

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