Il vero vincitore delle elezioni statunitensi
Ora che i risultati emergono nella loro evidenza si possono anche individuare i fattori del successo di Donald Trump.
Di certo l’attenzione dimostrata verso il lavoro inteso come un fattore determinante nella progettualità di vita dal quale dipendono le vite delle famiglie ha sicuramente ottenuto il proprio e giusto riscontro elettorale. In questo contesto, e come naturale conseguenza logica, ha ottenuto maggior peso lo stesso mondo dell’industria e dell’agricoltura, che rappresentano il vero Deep State statunitense, in assoluta contrapposizione alle rendite di posizione legate ai flussi sia turistici che di semplice business delle città posizionate sulla costa (1).
In questo senso l’idea stessa di introdurre dei dazi, già anticipata dalla precedente amministrazione Biden, se venisse confermata nasce proprio dal principio di una maggiore tutela nei confronti dei prodotti made in USA rispetto soprattutto ai prodotti made in China, e in questo senso l’export italiano non dovrebbe temere dei grossi contraccolpi ai propri flussi commerciali verso il mercato statunitense. Va ricordato, infatti, come una ricerca della Bloomberg Investiment presso i consumatori statunitensi di Made in Italy avesse evidenziato, nel 2018, come tutti i consumatori si erano dichiarati disponibili a pagare anche un prezzo maggiorato del +30% purché questi prodotti rimanessero espressione della filiera italiana e del vero Made in Italy. Un vero monito ed opportunità nella complessa gestione delle filiere artigianali ed industriali portatrici dei valori legati al way of life che il Made in Italy esprime.
La rinnovata centralità del sistema industriale come fattore di crescita rappresenta, quindi, la seconda motivazione che ha portato alla vittoria in quanto strettamente legato al valore del lavoro ed a quanto questo riesca ad assicurare in termini di qualità della vita (2).
Sicuramente, poi, il successo parte anche dalla consapevolezza nell’adozione del principio di uguaglianza per tutti i lavoratori statunitensi di ogni origine e razza. Contrapposto, viceversa, a quello dell’inclusione all’interno di Stato etico come proposto dal delirio Woke ed abbracciato dalla candidata democratica ed espresso dall’intero mondo di Hollywood. Una deriva etica che esalta la folle centralità dell’IO ASSOLUTO da imporre alla società dalla quale si pretendono oltre i diritti riconosciuti, anche quelli specifici in relazione alla propria singola particolarità (3).
La prospettiva di crescita economica, quindi, legata alla capacità di assicurare il benessere dei cittadini è stata premiata rispetto alla presunzione ideologica che voleva imporre un modello di inclusione per la cui realizzazione potevano venire addirittura negati quei diritti fondamentali, come quello di critica e di opinione, che il “politicamente corretto” ha cercato di limitare come una sorta di censura (4).
A questo si aggiunga come di certo sia stato ridimensionato nella sua importanza e capacità di influenzare la masse di adoratori tutto il mondo di Hollywood, che si era dichiarato apertamente a favore della candidata Kamala Harris ed illuso di favorirla.
Gli Stati Uniti esprimono una democrazia complessa ed articolata, più vicina nella sua grandezza a un continente che non ad un semplice stato federale, in questo favorito anche dalla indipendenza energetica che probabilmente favorirà il proprio progressivo isolazionismo.
In questa articolata complessità emersa dai risultati delle ultime elezioni negli Stati Uniti si conferma, viceversa, l’incapacità di comprenderne le dinamiche con un approccio provinciale della stragrande maggioranza dei media e del corpo politico italiano ed europeo.