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In 38 anni hanno chiuso due aziende agricole su tre, ma le big sono andate bene

Negli ultimi 38 anni due aziende agricole su tre hanno cessato l’attività. Ma chi resta nel comparto primario, fa sul serio: nell’ultimo decennio si sono ampliate le dimensioni di impresa, raddoppiando la Sau (Superficie Agricola Utilizzata) passata da 5,1 a 11,1 ettari medi. Ancora poco rispetto a Francia e Germania dove la superficie media delle aziende agricole e zootecniche è di 60 ettari, ma la strada per superare l’iper-frammentazione nell’Italia rurale è avviata. Le aziende a conduzione familiare e le ditte individuali fanno ancora la parte del leone ma cambiano le dinamiche fondiarie con meno campi di proprietà e più locazioni. È questa la fotografia fornita dai primi dati del settimo Censimento generale Agricoltura, presentato oggi dall’Istat e portato a termine in tempi di pandemia rispetto alla quale il comparto si mostra tra i più resilienti.

A ottobre 2020 sono attive in Italia 1.133.023 aziende agricole, dal 1982 ne sono scomparse quasi due su tre, ha evidenziato il Censimento Agricoltura Istat. Nel 2020, precisa il Censimento Istat, soltanto due aziende agricole su 10 hanno meno di un ettaro, erano il doppio nel 2010; ulteriore segnale di cambiamento in termini di concentrazione. Sulle forme giuridiche restano importanti le imprese individuali o familiari (93,5% nel 2020), ma in calo del 32% rispetto al 2010, mentre crescono le società di persone e di capitali, soprattutto come superficie agricola. Flessione importante sul numero di aziende con terreni di proprietà (58,6% nel 2020, erano 73,3% nel 2010), mentre crescono gli affitti. Anche nell’analisi per ripartizione geografica, si registra una flessione generalizzata nel numero di aziende, soprattutto nel Mezzogiorno, mentre la provincia di Bolzano è quella con meno decrementi. Il calo del numero di aziende un po’ tutti i settori produttivi, e riguarda anche altri Paesi europei. Nel 2020, in oltre il 98% delle aziende agricole si trovava manodopera familiare, anche se nella forza lavoro è stata progressivamente incorporata manodopera non familiare, che ha raggiunto 2,9 milioni, cioè il 47%. Nel 2010 era il 24,2%, più o meno la metà. Negli stessi 10 anni, la forza lavoro complessiva ha perso il 28,8%, in termini di addetti, e il 14,4% in termini di giornate standard lavorate. Mentre per la digitalizzazione c’è ancora molto da fare. Il settore, rileva Istat, è approdato ancora solo marginalmente all’adozione di tecnologie digitali, sebbene la quota di imprese che si sono digitalizzate sia quasi quadruplicata in dieci anni, dal 3,8% nel 2010 al 15,8% nel 2020. A trainare il salto tecnologico i giovani imprenditori e i big: laddove la leadership è esercitata da persone fino a 44 anni il tasso di digitalizzazione arriva al 32,2%; dove invece i dirigenti hanno più di 65 si ferma al 7,6%, precisa il Censimento Agricoltura. Intanto l’analisi statistica si dinamizza visto che, come annunciato dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, non avrà più cadenza decennale ma permanente e attraverso indagini campionarie. Novità apprezzata sia dal ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli che dal sottosegretario al Mipaaf Gian Marco Centinaio.”La quantificazione delle dinamiche di cambiamento in ambito rurale è cruciale – ha osservato Patuanelli – per poter avviare velocemente le politiche di sostegno alle imprese ma anche per supportare la nostra richiesta all’Unione europea di una azione comune più incisiva”.

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