Italian sounding: cui prodest
Cos’è l’Italian sounding, ma soprattutto, in rapporto alla sua peculiarità, a chi e per quale motivo porta dei vantaggi economici questa pratica economica fraudolenta anche per il solo utilizzo concettuale a fini miseramente propagandistici?
Nel 2015 il governo Renzi affermò di aver inserito a bilancio 34 milioni per la lotta alla contraffazione dei prodotti italiani definiti appunto “italian sounding” che portano un danno economico per le aziende italiane di oltre 54 miliardi di euro. In questo contesto infatti va considerato come ogni dieci prodotti venduti all’estero che presentano nomi italiani sei risultino assolutamente realizzati al di fuori dell’Italia. Da allora, cioè dall’anno della dichiarazione del ministro, tuttavia non un’azione risulta intrapresa dal governo italiano a tutela dei prodotti italiani in qualche mercato estero. Anche perché va ricordato che l’ottimo governo Monti, con il pregiato ministro Passera, aveva precedentemente smantellato ogni struttura di controllo presente sui mercati internazionali. Mancando il monitoraggio ovviamente risulta difficile avviare qualsiasi azione finalizzata alla tutela dei prodotti italiani clonati in modo miserevole da aziende e catene di distribuzione internazionali.
Nel contesto italiano e della mera e superflua dialettica politica governativa ecco come il concetto di italian sounding venga trasformato dal governo Renzi semplicemente in un’idea, o meglio un’icona, che successivamente viene riportata “sic et simpliciter” priva di ogni sviluppo reale dal sistema mediatico. Ulteriore prova di questa assoluta negligenza governativa deriva dal fatto che le uniche azioni per la tutela dei prodotti di aziende italiane le abbiano intraprese Zegna, Kartell e Ferrero le quali hanno dovuto attingere alle proprie risorse interne per tutelare i propri interessi e diritti.
L’Italian sounding tuttavia risulta anche quel fenomeno odioso di imitazione, se non addirittura clonazione spesso grossolana, dello stile di vita italiano che viene venduto nei mercati internazionali dell’agroalimentare, del tessile-abbigliamento, fino all’arredamento giustificati nella scelta fraudolenta dal valore culturale che ogni prodotto italiano esprime quale risultato finale di una filiera complessa, quindi come sintesi di know how industriale, storia e professionalità: la massima espressione del Way of Life unico al mondo che solo il Made in Italy esprime.
Esiste poi una terza forma di italian sounding, peraltro legittima, come quella delle aziende estere che hanno rilevato le nostre PMI italiane amate in ogni parte del mondo. Successivamente all’acquisizione, il prodotto viene completamente svuotato di ogni contenuto valoriale culturale con il fine di trasformarlo successivamente in un Brand vuoto nel quale inserire ciò che viene considerato dall’azienda stessa più idoneo a soddisfare le proprie esigenze di vendita.
In questo senso infatti va inquadrata l’operazione della Nestlé di chiudere il centro di ricerca relativo ai preparati ed ai sughi situato a Villa Fratti di Sansepolcro in provincia di Arezzo. La nuova sede per la ricerca di preparati e sughi che verranno venduti con il marchio italiano Buitoni (quindi ancora oggi una delle massime espressioni nel settore dell’agroalimentare industriale) verrà collocata nella città di Solon nello Stato dell’Ohio, Stati Uniti. Tutti i mercati mondiali quindi potranno acquistare dei prodotti sintesi della creatività e della competenza statunitensi che verranno proposti con un brand espressione invece della cultura italiana.
Una scelta certo legittima di un’azienda la quale ovviamente deve cercare marginalità e soprattutto strategie in rapporto alle opportunità offerte e ricercate anche attraverso le acquisizioni. Tuttavia come non ricordare l’entusiasmo da parte della classe politica e di quegli imprenditori trasformatisi in piazzisti che definirono questa campagna vendita da parte delle multinazionali estere in relazione alla nostre PMI. Una stagione iniziata tra la fine degli anni ‘80 e ‘90 e che ha avuto un fortissimo incremento degli ultimi 10 anni avendo visto moltissimi marchi dell’agroalimentare italiano passare in mano straniera. Allora come oggi questa campagna acquisti veniva e viene definita da parte degli economisti e dei politici italiani come una campagna di forte internazionalizzazione che avrebbe assicurato ed dovrebbe consentire anche oggi un futuro di sviluppo alle stesse aziende italiane. Affermazioni grossolane e superficiali, allora come oggi, che dimostrano come la storia economica italiana ed internazionale non abbia ancora insegnato nulla. Come non ricordare una classe politica ed imprenditoriale la quale invece di affrontare le difficoltà di una gestione di queste aziende abbia preferito supportare la loro vendita alle multinazionali spacciandola spudoratamente come una grande risorsa per il territorio italiano e per l’economia italiana in generale.
Nel prossimo futuro quindi il mondo conoscerà una nuova forma di Italian sounding, peraltro assolutamente legittima, che vedrà un marchio italiano associato ai prodotti di ispirazione statunitense. Francamente quest’ultima rispetto alle altre due forme di Italian sounding che coinvolgono operatori industriali disonesti e compagini governative inette e probabilmente anche poco competenti rappresenta quella meno insopportabile.