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La diplomazia culturale come ‘arma’ preventiva per la pace

Esistono spazi per una diplomazia culturale che crei i presupposti per la pace in un mondo alle prese con guerre in Ucraina, Medio Oriente e, potenzialmente, a Taiwan, solo per citare i conflitti più noti?

La domanda se la pone l’Associazione Ars Pace presieduta dall’ex presidente del Parlamento europeo Enrique Baron Crespo in un convegno organizzato al Circolo degli Esteri di Roma da Monica Baldi, eurodeputata e vicepresidente della medesima associazione su ‘Diplomazia culturale e pace’, col patrocinio dell’Unione consoli onorari italiani, del Parlamento europeo e dell’Università per la pace dell’Onu.

Se la pace è un processo, come suggerisce Baron Crespo intendendo per processo un dialogo che tessa e rafforzi i legami, la chiave per attivare quel processo, ha dichiarato l’on. Cristiana Muscardini intervenendo al convegno, non può che essere l’empatia tra esseri umani. Perché pace, come precisato anche da numerosi altri interventi, è concetto che si può declinare in vari modi: dalla resa alle pretese altrui alla reciproca comprensione delle ragioni degli altri. Ma la pace deve essere una pace giusta, ha sottolineato ancora Muscardini, presidiata da regole della comunità e delle organizzazioni internazionali che garantiscano che le ragioni degli uni non siano interamente sacrificate alle ragioni degli altri. E la diplomazia culturale come soft power, quale l’ha identificata l’ambasciatore e presidente dell’Ucoi Carlo Marsili, è esattamene lo strumento attraverso il quale la comunità internazionale può raggiungere un equilibrio delle rispettive ragioni che non sia fondato sulla forza ma sulla mutua comprensione.

Chiarito il concetto, la sua implementazione pratica è tutt’altro che ovvia, ha evidenziato Gianfranco Fini intervenendo come ospite al convegno stesso. Perché l’Occidente è davvero ormai in crisi: se ne parla da tempo, ma la cancel culture, la pretesa di rinnegare e cancellare un passato che si trova inaccettabile come se riscrivere la storia fosse una via davvero praticabile e non un’illusione quantomeno ingenua, è la prova fattuale che l’Occidente non sa più cosa sia, cosa voglia essere e cosa voglia rappresentare. Difficile quindi che sia in grado di dialogare con altri e far dialogare altri per comporre le rispettive ragioni.

Ecco allora, come sottolineato dall’ex ministro degli Esteri e professore della Luiss Enzo Moavero Milanesi, che la via della diplomazia culturale si fa stretta e impervia. E tuttavia, ha evidenziato ancora lo stesso Milanesi, resta una via praticabile: per l’Italia anzitutto, perché se si parla di cultura l’Italia è una potenza a tutti gli effetti, per l’Unione europea, perché la sua stessa costruzione è il risultato di un’ibridazione di identità e culture che non si sono rinnegate ma che proprio ricordando il loro bellicosissimo passato hanno dato vita a un processo di integrazione.

Altro che abdicare a se stesso, l’Occidente deve ritrovare in se stesso le ragioni per continuare a essere un player globale. Di contro alla cancel culture vi è l’esempio additato dall’ambasciatore e presidente dello Iai (Istituto affari internazionali), Ferdinando Nelli Feroci, della Corea del Sud, Paese a tutti gli effetti appartenente all’Occidente, che tramite la Korea Foundation sta facendo un grande lavoro di affermazione (branding, si direbbe con linguaggio del marketing) della propria cultura e dei propri valori.

Educazione, informazione, conoscenza, fa eco a Nelli Feroci l’ambasciatrice Maria Assunta Accili (membro del consiglio direttivo della Società italiana per l’organizzazione internazionale), sono i tre elementi attraverso i quali la cultura può evitare ai popoli di precipitare come sonnambuli in relazioni conflittuali anziché armoniose.

A fronte di un Occidente che per troppo tempo ha dato per scontata la pace, come provoca la giornalista Rai Tiziana De Simone nel moderare il dibattito, vi è un Sud globale, ricorda il rappresentante della sede romana dell’Università della Pace Roberto Savio, che mostra un crescente scetticismo verso l’Occidente propria a causa dei dubbi che questo nutre su se stesso e quindi sul suo ruolo nel mondo e sugli aiuti internazionali verso gli altri Paesi di cui è sempre meno prodigo (da qui, ha notato Savio, l’affermazione di governi sovranisti in 10 dei 27 Paesi del Sud globale).

Proprio per sollecitare i vari Paesi e per indurre tutti a prendere l’iniziativa del dialogo e del confronto non armato l’associazione promuoverà ulteriori convegni in vari Paesi. Prossima tappa, ha annunciato Monica Baldi, Barcellona.

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