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La flessibilità, da volano a causa della mancata crescita

Dall’ultima rilevazione statistica pubblicata dall’Istat emerge evidente come oltre il 16.6% dei lavoratori dipendenti risulti assunto a tempo determinato. Quindi, in un contesto di oltre diciotto milioni di dipendenti circa tre milioni possiedono un arco temporale di “programmazione” del proprio futuro molto limitato in quanto titolari di un contratto a tempo determinato. Va infatti ricordato come una delle cause per le quali aumentano i depositi presso i conti correnti in banca e contemporaneamente calano i consumi in generale venga indicata nel fattore di incertezza del quale il contratto a tempo determinato ne rappresenta la massima espressione.

In un simile contesto anche la crescita di un punto di Pil con una struttura del lavoro così organizzata si tradurrebbe inevitabilmente in ulteriore decrescita dei consumi in quanto espressione di precarietà ed incertezza del futuro. In altre parole, se la battaglia competitiva di un mercato globale costringe ad una inevitabile compressione dei costi risulta, come logica conseguenza, che quando questa superi una certa soglia di ricorso a contratti “atipici” la crescita rimanga un valore senza conseguenze efficaci e durature. Non si traduce, cioè, lo sviluppo economico in quel benessere diffuso che a sua volta diventa volano di crescita esso stesso.

Viceversa esistono modelli di sviluppo di aziende estere che operano in Italia e sono portatrici di vera innovazione nella organizzazione e strategia aziendale e soprattutto non fini a se stesse (https://www.ilpattosociale.it/2018/09/27/svizzera-e-toscana-i-modelli-di-sviluppo-richemont/).

Ovviamente questi modelli di grandi compagnie internazionali francesi e svizzera già operativi in Toscana rappresentano scelte progettuali che richiedono investimenti negli  anni precedenti e che solo ora stanno dando i loro frutti: la sintesi evidente di una reale strategia di sviluppo complessivo.

Modelli che forse non possono venire applicati in tempo reale alle imprese italiane ma senza alcun dubbio possono indicare la direzione generale e corretta al fine di assicurare lo sviluppo e contemporaneamente il benessere alla più ampia fascia di popolazione, in particolar modo per la produzione italiana che si posiziona nel contesto internazionale nella fascia medio alta come espressione del miglior made in Italy.

Inoltre, questo asset contrattuale del lavoro italiano di fatto ridicolizza ogni ricetta proposta della classe politica italiana che ponga al centro l’aumento della spesa pubblica per infrastrutture. Un ulteriore aumento della spesa pubblica determinerebbe un ulteriore aumento del ricorso ai contratti a tempo determinato.

Quindi la sola riduzione della pressione fiscale sul reddito da lavoro, decisamente altra cosa rispetto ai bonus fiscali (vere elemosine elettorali) del governo Renzi come di quello attuale, rappresenta la via per riportare, specialmente nel settore industriale, la convenienza strategica di un contratto a tempo indeterminato, l’unica  via per assicurare crescita economica e benessere reale per un paese.

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