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La “trappola di Tucidide” di Cina e Usa. E l’insussistenza Europea

Dario Rivolta*

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta apparso su notiziegeopolitiche.net il 27 luglio 2024

Da un po’ di tempo a questa parte diversi analisti di politica internazionale usano volentieri i concetti della “Trappola di Tucidide” per parlare dei rapporti tra Cina e Stati Uniti. Tucidide fu uno storico greco che sostenne fosse inevitabile scoppiasse la guerra tra una potenza dominante in declino e una nuova potenza nascente che aspirasse a prenderne il posto.
Se applicassimo quel criterio alla situazione del mondo di oggi non dovremmo nemmeno domandarci se scoppierà una guerra tra la Cina e gli Stati Uniti. La sola domanda che potremmo porci è: quando.
Per cercare di rispondere al quesito è interessante leggere l’intervista che l’americano Graham Allison ha concesso poche settimane orsono ad un giornale indipendente di Hong Kong. Il personaggio non è un qualunque politologo: fu assistente segretario alla Difesa nell’amministrazione Clinton ed è ora professore di Government alla Harward University, oltre che rettore e fondatore della John F. Kennedy scuola di Government, sempre alla Harward. In un libro dal titolo “Destinati alla guerra” naturalmente parla proprio di Washington e Pechino come classici rivali.
Poco prima di rilasciare l’intervista aveva compiuto un viaggio in Cina dove incontrò non solo il ministro degli esteri Wang Yi e altri alti livelli del ministero degli Esteri, ma anche lo stesso presidente Xi Jinping per una lunga conversazione a due. Allison descrive l’uomo come fortemente ambizioso, sicuro di sé e determinato a far sì che la Cina diventi ogni cosa che potrà essere. Parole particolarmente curiose e interessanti sono quelle di Xi quando riferisce di una conversazione avuta con Barak Obama. Il presidente cinese ricorda che Obama gli disse che se i cinesi fossero diventati benestanti come gli americani e come loro consumassero la stessa quantità di energia con conseguente emissione di gas nocivi, la biosfera sarebbe diventata inabitabile per tutti. Dopo una pausa Xi aggiunse ad Allison: “Si immagina dunque che noi dovremmo essere felici di essere benestanti solo un quinto di quanto lo sono oggi gli americani?”. E dette lui stesso la risposta affermando che comunque la Cina era intenzionata a modernizzarsi in un suo proprio modo pur senza effetti negativi per l’intero mondo. Era fiducioso che, poiché i cinesi sono gente intelligente e grandi lavoratori, avrebbero facilmente raggiunto almeno la metà del PIL pro capite degli americani. E poi: “Faccia un conto aritmetico. Poiché noi siamo una popolazione quattro volte più numerosa significa che il nostro Pil pro-capite sarà due volte quello degli Usa. E con un PIL doppio avremo un budget della difesa che sarà il doppio, un budget per l’intelligence due volte più grande e una leva economica con altrettanta proporzione”.
Sembrerebbe ovvio che, qualora ciò avvenisse, la “Trappola di Tucidide” potrebbe diventare una realtà.
Allison non si dichiara però pessimista. Ritiene che esista, di là da un certo determinismo, un fattore umano che potrà influenzare il possibile comportamento dei leader. In particolare, riferendosi alla storia dei due millenni passati, ricorda che, pur in presenza di una potenza ascendente e di una in declino, non sempre ciò ha dato luogo ad una guerra. L’alternativa possibile dei nostri tempi è che i leader dei due Paesi, consci di ciò che potrebbe significare per il mondo un conflitto atomico, potrebbero scegliere di continuare a confrontarsi a distanza anche per trenta, quaranta o altri cinquant’anni senza ricorrere al conflitto. In questo caso sarebbero la storia e le rispettive popolazioni a decidere quale dei due sistemi, quello cinese o quello americano, meglio soddisfi ciò che i cittadini vogliono e il conflitto andrà appianandosi automaticamente.
A una domanda in merito al risultato dell’incontro che Biden e Xi ebbero mesi fa a San Francisco, Allison risponde che, pur senza conoscere i dettagli di quell’incontro riservato, è probabile che si siano trovati d’accordo su diversi punti. Ammette tuttavia che entrambi possano aver nutrito e continuato a nutrire dubbi sulla buona fede e sul rispetto degli accordi da parte dell’altro. Sicuramente, continua, qualunque intesa sia stata raggiunta non ne saranno stati definiti i dettagli e quindi ciascuno potrà interpretare le cose a modo suo. Una seconda osservazione importante che Allison fa è che i poteri di un presidente Usa e di quello cinese sono molto diversi: mentre il primo opera in un sistema con più voci e con la presenza di contrappesi, il secondo può più facilmente imporre al proprio Paese le decisioni che intende assumere. E ciò potrebbe avere conseguenze, ma non necessariamente quelle di mutua soddisfazione.
Un argomento cui l’intervistatore non rinuncia è di chiedere cosa pensi l’intervistato dei rapporti tra Cina e Russia. Allison risponde che molti politologi e politici statunitensi hanno continuato a ritenere innaturale, e quindi impossibile, una alleanza tra Cina e Russia e tuttora stentano ad accettare il fatto che sia stata proprio Washington a spingerli verso una alleanza sempre più stretta. La logica, ahimè negletta anche da politici altrimenti intelligenti, è “il nemico del mio nemico è mio amico”. È esattamente ciò che sta accadendo: Mosca e Pechino hanno il comune obiettivo di rendere innocuo quello che definiscono l’ordine egemonico statunitense “unipolare” per favorire invece un ordine multipolare in cui entrambe possano diventare dei poli strategicamente importanti nel mondo. Resterebbe solo da aggiungere che la Russia non aveva altra scelta dopo essere stata emarginata politicamente ed economicamente dall’occidente.
Alla domanda “se la Russia è impegnata in una grande guerra contro l’Ucraina e se gli Stati Uniti si focalizzano su di essa, quale opportunità potrebbe crearsi per la Cina? Se nello stesso tempo esiste un Medio Oriente in fiamme e anche esso richiede l’attenzione degli Usa, come può Washington affrontare tre pericolosi scenari contemporaneamente?”. Anche in questo caso la risposta, non si sa se totalmente sincera o perché non è facile accettare di diventare una Cassandra, è relativamente ottimista: “L’atteggiamento dell’amministrazione statunitense nei confronti della Cina dovrà avere tre componenti: una ferma competizione, una continua comunicazione e una sincera cooperazione. A quale fine? Per ottenere una competizione pacifica, a lungo termine che consenta di vedere in 25 anni o in mezzo secolo quale dei due sistemi risponda con maggior successo a ciò che i popoli vogliono”. Inoltre, aggiunge, gli americani stanno saggiamente costruendo una rete di alleanze come l’AUKUS, il QUAD, il rafforzamento dei trattati con Giappone, Corea del Sud, Australia e Filippine, e ciò assicurerà un sufficiente contrappeso alla Cina nel contesto asiatico. È ovvio, continua ancora Allison, che gli Stati Uniti dovranno fare delle scelte poiché è impossibile, nonostante siano la più grande potenza militare del mondo, fronteggiare contemporaneamente tre aree di crisi lontane tra loro. Sarà allora ovvio che le risorse destinate all’Europa dovranno essere ridotte sostanzialmente e occorrerà fare una scelta anche dal punto di vista economico per assicurare che alcuni prodotti importanti attualmente controllati dalla potenza dominante siano garantiti e non resi disponibili ai concorrenti.
A questo punto l’intervistatore pone una domanda cruciale che pochi, anche tra gli storici, oserebbero porre. “Quale parallelo si può fare tra questa situazione con la Cina e le sanzioni statunitensi che portarono alla guerra tra il Giappone e gli Stati Uniti nel 1940?“.
La risposta: “E’ certo vero che, storicamente, un certo numero di rivalità tucididee si siano manifestate proprio sulle risorse… se noi forziamo un concorrente a scegliere tra un suo strangolamento sicuro entro sei mesi o un anno, oppure tentare una soluzione rischiosa ma magari con la possibilità di vincere una guerra… Può diventare razionale per un contendente scegliere la guerra. Ora, io penso che nell’attuale rivalità tecnologica l’amministrazione Biden sia determinata nel cercare di mantenere il più ampio possibile il gap con i cinesi in tutte le frontiere tecnologiche quali intelligenza artificiale, semiconduttori, genomica o quantum per la biologia sintetica. Tuttavia in nessuno di questi gli Usa saranno capaci di impedire alla Cina qualche versione diversa di capacità. Potrebbe essere questione di una generazione o due… i cinesi sono intelligenti e grandi lavoratori e hanno ogni anno dieci volte più laureati degli americani… in Cina, dove c’è una competizione molto più forte tra le compagnie produttrice di macchine elettriche, la società BYD (partecipata finanziariamente anche da Warren Buffett) è attualmente quella che ha preso la maggiore fetta di mercato che fu di Tesla. La mia scommessa sarebbe che la rivalità tecnologica sarà forte ma non arriverà al punto da strangolare le opportunità per la Cina di svilupparsi per conto proprio o di trovare altre fonti… Siamo in una economia globalizzata e ci sono altre fonti potenziali per quasi qualunque cosa gli Stati Uniti cercherebbero di tenere sotto controllo… Gli sforzi americani potranno ritardare ma non impedire gli sforzi cinesi su questi fronti… non penso che queste intenzioni americane possano diventare un decisivo fattore di guerra”.
A questo punto ognuno tragga le valutazioni che preferisce dal contenuto di questa intervista, ma è corretto notare che in nessuno dei temi toccati nell’intervista si trova un qualunque ruolo per l’Europa. L’unica volta in cui la si menziona è quando si afferma che affinché gli Usa possano concentrarsi efficacemente nelle aree considerate di crisi è necessario per Washington ridurre gli impegni che ha verso il Vecchio continente. Naturalmente nessuno può auspicare che scoppi una guerra mondiale ma, se dovesse succedere, gli europei vi verrebbero trascinati solo come obbedienti vassalli e, se fortunatamente nessun conflitto accadesse, i veri “grandi” troveranno un qualunque accordo tra di loro e ciò accadrebbe alle spalle o addirittura sulle teste degli europei stessi.

Sarà mai possibile che qualche politico europeo capisca che l’Europa deve assolutamente cambiare e mettere mano ai Trattati esistenti per costruire, con chi lo vorrà, una vera Unione politica di carattere federale? Altrimenti il destino degli europei sarà solo quello del “vaso di coccio” di manzoniana memoria.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.

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