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La vera insostenibilità? Quella fiscale

Uno dei parametri fondamentali per valutare la sostenibilità di un investimento, specialmente in un settore produttivo di un determinato Paese, viene sicuramente rappresentato dal quadro normativo  fiscale e dalla sua stabilità complessiva. Questo fattore influisce in modo determinante allo stesso modo per le aziende già operanti nel medesimo territorio in relazione alla scelta di riservare risorse e destinarle ad investimenti, per esempio nella digitalizzazione, al fine di rendersi maggiormente competitivi nel mercato globale.

Un articolato sistema fiscale e soprattutto la sua stabilità permettono, infatti, di valutare il Roe e quindi la redditività di un investimento nel medio e lungo termine. All’interno di uno scenario economico complesso la fiscalità, specialmente se “di vantaggio”, cioè finalizzata ad attrarre investimenti anche dall’estero per avviare attività economiche con positive ricadute occupazionali, rappresenta un volano fondamentale con l’obbiettivo parallelo di incentivare gli investimenti delle aziende.

Viceversa i governi, e con loro soprattutto i ministri economici che si sono succeduti negli ultimi dieci anni alla guida del nostro Paese nella ricerca della quadratura del cerchio per il rapporto debito pubblico/Pil, hanno privilegiato la visione del breve termine incuranti degli effetti delle proprie politiche fiscali a copertura di sempre nuove voci di spesa pubblica. Dimostrando questi l’assoluta incapacità o semplicemente il presuntuoso disinteresse nel considerare le ricadute economiche delle “innovazioni normative fiscali” come della loro ricaduta all’interno di una politica di sviluppo.

Ogni governo, da Monti in poi, ha sempre immediatamente modificato il quadro fiscale generale anche per fornire le risorse a copertura dell’aumento della spesa pubblica improduttiva, come per gli 80 euro del governo Renzi, il reddito di cittadinanza e quota 100 nel governo Conte 1.

A conferma di tale terribile miopia, che rende il nostro paese assolutamente poco attrattivo rispetto ai flussi complessivi di investimenti, è esemplare la questione della tassa sulla plastica, ultima perla del governo in carica.

Nel 2018 il governo stabilì un aumento del contributo ambientale Conai attribuito al settore della plastica (CAC) che passò da 188 a 208 euro a tonnellata: circa 0,208 centesimi/kg. Il costo industriale mediamente della plastica è compreso in un range che va da 0,90 euro fino ad 1,70 per kg. La disastrosa finanziaria del governo Conte 2 viceversa intende portare la tassa sulla plastica ad 1 euro/k, quindi mille/tonnellata. Rispetto al 2018 si assiste perciò ad un +500% della tassazione applicata ad  un comparto industriale  che rappresenta uno dei fiori all’occhiello della manifattura italiana. Un incremento della pressione fiscale che nessun settore economico al mondo sarebbe in grado di sostenere in un’ottica di sviluppo anche solo nel brevissimo termine.

In più l’effetto paradossale di questa scellerata politica fiscale, espressione di incompetenza, superficialità e presunzione, risulta dall’incredibile rapporto tra valore della tassazione applicata  che arriva fino il 110% del valore del bene tassato (per la benzina è il  64%).

Nella storia economica recente mai si era assistito ad un aumento della pressione fiscale di questa entità, espressione di una ridicola ideologia pseudo ambientalista adottata da una classe politica indegna che ora rincorre una ragazzina svedese anche se smentita dai più autorevoli scienziati del mondo.

Tornando ora al quadro più generale, il sistema normativo fiscale in continuo rinnovamento, di fatto, ogni dieci mesi rende inutili e paradossalmente obsoleti tutti gli studi e con loro ogni valutazione e proiezione necessarie ad un investitore che intendesse premiare la competenza italiana così come per un’azienda italiana attiva nel mercato al fine di sviluppare la propria competitività.

E’ ormai evidente come la classe politica e dirigente, espressione non di competenza economica ma di più banali competenze burocratiche, rappresenti la causa del nostro arretramento economico e culturale condannando il nostro Paese ad un declino inarrestabile.

Mai come ora con la propria politica fiscale adottata per il comparto della plastica il governo in carica rappresenta il vero nemico della crescita e contemporaneamente la lucida espressione di un’incompetenza legata ad una assoluta irresponsabilità con effetti insostenibili per il sistema industriale italiano.

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