Attualità

Le due diverse genesi inflattive

L’inflazione trae le proprie peculiari caratteristiche e determina diversi effetti in rapporto alle ragioni della sua genesi. Gli stessi rimedi con cui la politica monetaria cerca, spesso con ritardo, di attenuarne le problematiche per l’economia reale risultano diversi a fronte di un’inflazione di natura endogena, cioè causata da fattori economici interni al proprio mercato, oppure esogena, quindi determinata da problematiche esterne al controllo della stessa politica monetaria delle banche centrali.

Gli Stati Uniti hanno già da tempo adottao, in termini di strategia monetaria, il “tapering “progressivo, ovvero la diminuzione dell’acquisto dei titoli del debito pubblico Usa e successivamente avviato una graduale crescita dei tassi di interesse per frenare la spirale inflattiva arrivata al + 7%.

L’economia statunitense ha dimostrato nel 2021 un tassi di crescita del +5,7% (+6,9 % nell’ultimo trimestre) e contemporaneamente ha già raggiunto da tempo la piena occupazione con un tasso di disoccupazione al 3,8%. Come logica conseguenza le retribuzioni stanno crescendo (+8,7% nel penultimo trimestre) quindi tutti questi dati inducono la Fed a confermare ed inasprire una politica monetaria restrittiva anche a causa dei consumi in salita del +12% e con l’indice dei prezzi al +6%.

E’ evidente come l’origine dell’inflazione made in Usa risulti prevalentemente endogena anche perché la più grande potenza mondiale guidata dal Presidente Joe Biden rimane l’unica dell’emisfero occidentale ad avere raggiunto l’indipendenza energetica, è quindi al riparo dall’esplosione dei prezzi delle fonti energetiche ed in grado addirittura di esportare nello specifico momento notevoli quantità di shale gas verso l’Europa stretta viceversa nella morsa energetica.

Al di qua dell’Atlantico la complessa situazioni dell’Unione Europea presenta un medesimo fenomeno inflattivo ma con delle origini decisamente differenti. In Europa, ed in particolare in Italia, è stata scelta una politica “energetica” basata sulla assoluta e piena dipendenza da fonti energetiche estere, rendendo quindi il nostro Paese soggetto a dinamiche internazionali economiche ma anche politiche fuori da un nostro possibile controllo.

In più si è progressivamente quasi azzerata l’attività estrattiva del gas (solo nel 2021, e quindi già in piena crisi energetica, è diminuita del 18%) arrivando nel 2021 con soli tre (3) milioni di mq prelevati, quando nel 1991 avevamo raggiunto i ventuno (21) milioni, e lasciando ogni riserva della sempre più preziosa materia prima ad esclusivo approvvigionamento della Croazia.

Il governo Draghi, con un “solo” anno di ritardo dall’inizio dell’escalation energetica, ha finalmente deciso di raddoppiare le estrazioni i cui benefici si otterranno, va ricordato, nel breve” termine di 12/18 mesi, dimostrando, ancora una volta, come una maggiore tempestività avrebbe se non risolto certamente ridotto l’impatto devastante di questa vera pandemia energetica.

In questo contesto la spirale inflattiva europea arriva ad un livello del +5,1% mentre quella italiana si “fermerebbe” ad un +4,8% ma nel caso europeo ed italiano in particolare la genesi va ricercata tra le fonti esterne.

A differenza del modello economico statunitense in Europa la disoccupazione registra un 7,1% (3,8% negli Usa si ricorda) mentre in Italia raggiunge il 9% (26,8 % tra i giovani), quindi ben lontani dalla piena occupazione indicata con un tasso di disoccupazione inferiore al 5% (disoccupazione frizionale).

All’interno quindi di uno scenario economico politico sostanzialmente agli antipodi rispetto a quello d’oltreoceano sembrerebbe sicuramente assurdo adottare le medesime politiche monetarie con l’obiettivo di frenare un fenomeno (inflazione) simile ma determinato da cause diverse. Nel nostro Paese, in più, si aggiungono anche gli effetti di una politica di sviluppo che parte da due assiomi assolutamente superati e comunque falsi. Sulla base del primo l’attività di governo invece di avere un approccio organico e complessivo allo sviluppo del Paese ha scelto di privilegiare uno specifico settore (edilizio) come beneficiario dei maggiori interventi finanziari (bonus fiscali), espressione della convinzione di “un effetto traino” in grado cioè di riavviare l’intera economia generale. Una scelta risibile il solo pensare che un singolo privilegiato settore possa determinare una crescita complessiva ma di certo ha dato vita NON solo ad una rinascita dell’inflazione ma ANCHE alla creazione di una aspettativa di inflazione per tutti gli altri comparti economici.

Il secondo assioma assolutamente fuorviante è quello relativo ad un altro effetto traino per l’intera economia attributo questa volta alla semplice crescita della spesa pubblica, quasi rappresentasse il motore stesso dell’economia nazionale.

In trent’anni di esplosione della spesa pubblica, finanziata con l’aumento della pressione fiscale e del debito pubblico, il reddito disponibile per i contribuenti italiani si è ridotto del -3,7% a fronte di una crescita in Germania del +34,7 % e di oltre il +24% in Francia. Direbbe quindi il poeta “perdete ogni speranza voi che attendete gli effetti economici della spesa pubblica” soprattutto all’interno di una pseudo-transizione energetica priva di ogni base economica di sostenibilità la quale, va ricordato, viene sovvenzionata da quarant’anni (40) con oneri nelle bollette, a tutt’oggi in grado di raggiungere la quota di rinnovabili al 18% ma pretendendo di arrivare al 50% nel 2030, cioè in otto (8) anni. L’adozione, quindi, di una politica monetaria restrittiva da parte della Bce determinerebbe solo l’effetto di frenare ulteriormente il tentativo di ripresa economica rendendo più oneroso l’accesso al credito e probabilmente con effetti nulli sul principale problema come l’inflazione stessa. Gioverebbe ricordare, infatti, come all’interno di un mercato globale le politiche monetarie regionali (l’Europa altro non è in un contesto mondiale) abbiano già fallito nel recente passato.

In questo senso basti ricordare come dal 2015 l’allora presidente della Bce Mario Draghi abbia inaugurato il Quantitive Easing con l’obiettivo di fornire un supporto finanziario alla crescita economica e alla produzione ma anche scongiurare la deflazione che avrebbe messo in seria difficoltà il sistema finanziario e bancario.

Fino alla esplosione della terribile pandemia nel 2020 nessun indicatore economico aveva registrato una ripresa dell’inflazione, legata all’enorme quantità di risorse finanziarie disponibili sul mercato, anche a causa della stagnazione sostanziale dei consumi ed alla diminuzione del prezzo medio dei beni acquistati provenienti da zone a basso costo di manodopera.

Nella situazione opposta la medesima politica monetaria ma di segno opposto non frenerebbe l’inflazione (come detto esogena) ma ridurrebbe ulteriormente le opportunità di crescita e garantirebbe solo una maggiore e pericolosa stagnazione economica già in atto (*) riducendo anche drasticamente il potere di acquisto di intere fasce di popolazione a basso reddito ma anche del ceto medio. Con on queste caratteristiche e parametri economici non esistono quindi le condizioni per una politica monetaria restrittiva quando invece l’unica soluzione dovrebbe venire individuata in una sostanziale ed omogenea riduzione del carico fiscale avviata sia dallo stato centrale, cominciando a rendere disponibile le risorse del Fiscal Drag, quanto dagli enti locali i quali hanno aumentato il proprio prelievo fiscale negli ultimi dieci anni del 111%.

Una riduzione della pressione fiscale sarebbe assolutamente di per sé deflattiva (**) ed a favore delle fasce meno abbienti di contribuenti (***) riducendo il potere delle classi politiche e dirigenti che vivono di spesa pubblica anche per finanziare il proprio consenso elettorale.

(*) dicembre 2021: produzione industriale -0,7% – gennaio 2022: produzione industriale -1,3%

(**) si pensi alla riduzione del costo del gasolio nel trasporto delle merci e quindi al benefico effetto per i costi di trasporto e, di conseguenza, del prezzo dei beni di consumo

(***) esattamente il contrario di quanto ottenuto con la rimodulazione delle aliquote Irpef del governo Draghi

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