Attualità

Le libertà di pensiero ed espressione e la loro rimozione

Quando un atteggiamento presuntuoso, classica espressione del “politicamente corretto”, si sposa con una ideologia massimalista il risultato conseguente viene rappresentato da una progressiva metastasi intellettuale.

Sta suscitando, infatti, un coro di reazioni indignate da parte di tali dotti esponenti del politicamente corretto la nuova opera presentata a Sapri in Campania. All’interno di un sistema liberale e democratico ogni opera dell’ingegno umano, quindi da un semplice pensiero come ad uno scritto, si espone proprio nell’esercizio dei diritti democratici ad ogni critica anche feroce, quindi anche questa, come qualsiasi opera d’arte, non può esimersi. Altra cosa, viceversa, è la pretesa di ottenerne la rimozione, come auspicato da tali Boldrini e Cirinna’, esercitando così un potere di censura inesistente in relazione alle opere del pensiero se non relativo all’apologia del partito fascista.

All’interno delle loro menti questa opera (già soggetta ad una valutazione precedentemente la sua installazione) rappresenterebbe un insulto alla sensibilità ritrovata verso la figura della donna e quindi sostanzialmente una espressione di una mancanza di considerazione per il genere femminile. A queste si aggiungono anche le esternazioni, sempre favorevoli alla rimozione, espresse da più critici d’arte i quali si spingono a giustificarne la rimozione in quanto questa non sarebbe in linea con l’attuale momento storico caratterizzato dal ritrovato rispetto per la figura della donna che il politicamente corretto avrebbe ripristinato.

Opinioni ovviamente legittime anche se non condivisibili in quanto molto spesso il valore di un’opera consiste proprio nella sua distonia rispetto al periodo storico nel quale viene creata, in particolar modo se oscurantista come quello attuale.

Va sottolineato ancora una volta come Il problema scaturito da queste feroci critiche non vada individuato nei legittimi contenuti quanto dalla conseguente pretesa di chiedere la rimozione dell’opera stessa. Un’opera d’arte come l’articolo di un giornale o un tema di italiano al liceo rappresentano la massima espressione della libertà di pensiero tutelata dalla Costituzione soggetta, quindi, sempre alla critica ma proprio per questo libera e priva di ogni vincolo.

Viceversa, la pretesa di rimozione di un’opera d’arte altro non è che l’applicazione di una censura in rapporto a parametri etici e politici stabiliti nel contesto storico attuale e, di conseguenza, assolutamente antidemocratici tali di fatto da declinare la nostra sempre perfettibile democrazia in uno stato etico caratterizzato dalla supremazia di chi operi in suo nome rispetto alle legittime aspirazioni dei singoli cittadini.

Risulta poi risibile che tali pretese di rimozioni vengano proprio da quella parte politica che si considera tutrice delle libertà democratiche e si dimostra incapace di comprendere come l’oscurantismo culturale, che il politicamente corretto ha reintrodotto, ci sta riportando nel Medioevo culturale.

Giorno dopo giorno, in nome di una valore “superiore” a quelli tutelati dalla Costituzione, il nostro Paese cede quote di democrazia per una emergenza magari sanitaria o culturale come espressione “di una rinnovata attenzione alla figura della donna”, come se, in tempi ormai passati, Botticelli o Canova non avessero avuto alcuna considerazione o rispetto per il corpo della donna.

Mai prima nel nostro Paese si era arrivati ad un livello culturale così infimo con l’obiettivo di giustificare la propria esistenza in vita e contemporaneamente la propria superbia e presunzione culturale come quello toccato in questi giorni da esponenti legati al mondo del politicamente corretto.

Una manifestazione inaudita di un nuovo mefitico oscurantismo culturale che trova la propria più esplicita manifestazione del furore iconoclasta di genesi talebana.

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