L’inquinamento ideologico
Il terzo millennio ha assistito al trasferimento del furore ideologico e rivoluzionario dalle tematiche politiche a quelle etiche ed ambientaliste. Dal crollo del muro di Berlino agli ultimi disordini di Cuba la volontà politica rivoluzionaria ha perso ogni riferimento istituzionale e politico reale (rimane solo la Corea del Nord) e come logica conseguenza per la propria stessa sopravvivenza ed esistenza “in vita” ha dirottato il proprio furore verso scenari etici ed ambientalisti. Dimostrando, comunque, anche in questi casi la assoluta intransigenza classica delle forze rivoluzionarie e sovversive che non intendono mediare minimamente alla ricerca di un consenso democratico ma semplicemente imporre le proprie idee sic et nunc.
La vicenda del decreto Zan dimostra essenzialmente quanto granitico contemporaneamente antidemocratico possa risultare l’atteggiamento di chi intenda imporre una legge nella medesima forma in cui è stata ideata invece di cercare una mediazione democratica.
In ambito ambientalista, tuttavia, lo spirito rivoluzionario sia in Italia che in Europa trova uno nuovo spazio tanto ampio quanto inversamente proporzionale alla competenza espressa. La presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha indicato nel 2035 il “traguardo” per imporre il divieto di vendita di autovetture endotermiche al fine di abbassare del 50% (?) le emissioni di CO2. Francamente si ignora ancora oggi per quale sconosciuta proprietà transitiva le competenze in ambito delle politiche familiari (maturate come ministro in Germania) possano essersi trasformate in pochi anni in quelle relative alla sostenibilità. Tant’è, una dichiarazione che ha trovato ovviamente il consenso di tutti gli schieramenti politici i quali, come scritto prima, orfani di modelli istituzionali e politici di riferimento ora si gettano anima e corpo in quelle ambientaliste per combattere l’ultima battaglia “rivoluzionaria” possibile e contemporaneamente giustificare la propria esistenza.
All’interno della complessa tematica ambientalista, tuttavia, risulterebbe opportuno che tanto la presidente della Commissione europea quanto i dotti leader politici ora novelli ecologisti cominciassero ad abbandonare la deriva ideologica legata all’ambientalismo talebano per entrare finalmente nell’ambito della conoscenza e dell’approfondimento. Solo in questo caso, infatti, questi potrebbero apprendere come da un rapporto pubblicato da “Transport & Environment” (*) [sintesi delle principali associazioni europee per la lotta all’inquinamento] nel 2017 le 203 navi da crociera abbiano consumato 2.367 chilotonnellate di carburante (1 chilotonnellata uguale 1.000 tonnellate) emettendo 10.286 chilotonnellate di CO2 unite a 10 chilotonnellate di zolfo (SOx) e 10 chilotonnellate di particolato (PM) (*). Quindi, ai vettori navali croceristici vengono attribuite oltre 10 milioni di tonnellate di CO2 pari alla quantità emessa dagli stati di Lussemburgo, Lettonia e Cipro uniti e soprattutto pari a 20 volte le emissioni dei 260 milioni di auto circolanti in Europa. Inoltre, sempre in rapporto alla rilevazione del 2017 delle 203 navi da crociera si ricorda come il settore marittimo utilizzi un carburante marino con una percentuale di zolfo pari allo 0,1% per litro: 100 volte superiore a quello utilizzato dalle autovetture che per legge risulta pari allo 0,001% per litro. Questo limite può arrivare fino al 1,5% se si naviga al di fuori delle aree marine protette ma addirittura al 3,5% per le navi cargo, quindi 3.500 volte superiore al limite imposto per autovetture (*).
Questo strabismo, espressione di un approccio squisitamente ideologico, viene confermato anche quando vengono analizzate le emissioni del settore aeronautico. Anche in questo caso alcuni dati possono risultare oltre che chiarificatori anche preziosi. Va ricordato, per cominciare, come una giornata di lavoro di un aeroporto equivalga all’emissione di oltre 350.000 autovetture, mentre gli aerei commerciali generano all’anno oltre 600 milioni di tonnellate di CO2 con la particolarità del settore aereo di scaricare direttamente anche l’ossido di azoto direttamente nella stratosfera.
Il settore aeronautico privato usufruisce, inoltre, dell’assoluta esenzione di accise ed inoltre le sue dinamiche delle emissioni non rientrano nel protocollo di Kyoto tra quelle da ridurre, al contrario del settore automobilistico (*). In questo senso, allora, basti ricordare come per ogni passeggero il trasporto aereo emetta 285 mg di CO2 mentre risultano 42 mg per il trasporto su ruota (**).
Ovviamente, per continuare, tanto alla presidente della Commissione europea quanto ai burocrati che la sostengono risulterà, inoltre, assolutamente sconosciuto il rapporto della divisione motori del CNR (****), il massimo istituto di ricerca italiano, il quale, confrontando i diversi parametri di compatibilità ambientale applicati tanto al ciclo di produzione (1) quanto alle emissioni (2) ed al ciclo di smaltimento (3), è arrivato alla conclusione di come il motore diesel risulti meno impattante nell’ambiente rispetto ad un auto elettrica
Questi pochi dati dimostrano essenzialmente come da una parte l’azione di lobbysmo esercitata dal settore aereonautico, non solo dalle compagnie aeree ma soprattutto dalle aziende produttrici di aeromobili che spesso vedono impegnato anche capitale pubblico, abbia ottenuto una “tutela politica” il cui costo risulta interamente a carico del settore automobilistico. Inoltre la scellerata dichiarazione del Presidente della Commissione europea dimostra l’assoluta irresponsabilità in quanto, di fatto, bloccherà o quantomeno condizionerà ogni investimento e miglioramento tecnologico dei motori endotermici con conseguenti disastrose ricadute occupazionali per l’intera e complessa filiera produttiva
A questi costi economici e sociali diretti si dovranno aggiungere anche i vantaggi competitivi per le altre aree macroeconomiche le quali si guardano bene dall’applicare dei protocolli così granitici anche per le terribili conseguenze economiche e sociali. In molti di questi, infatti, non viene negato il valore della movimentazione elettrica, specialmente in ambito urbano e quindi il valore di un nuovo impulso all’auto elettrica, ma contemporaneamente non vengono di certo penalizzate assolutamente le automobili endotermiche. Una valutazione totalmente corretta se considerato il difficile momento dell’economia mondiale legato agli effetti della pandemia da covid-19.
Nella vecchia Europa, invece, e nel nostro Paese l’ideologia ecologista rappresenta la nuova versione 4.0 di uno schieramento politico ben identificato, già sconfitto dalla storia, come la vicenda di Cuba dimostra in questi giorni.
Tuttavia, la traslazione dei medesimi ed obsoleti principi politici ed ideologici, i quali nulla hanno a che fare con la “transizione ecologica”, produrrà in questo caso degli effetti disastrosi da qui al 2035 lasciando completamente invariato il problema dell’inquinamento espressione, come ampiamente dimostrato, di cause diverse dall’auto privata. In questo senso, quindi, ci si trova di fronte non tanto ad una forma di classica ignoranza della relazione causa-effetto quanto alla sua stessa negazione come evidente espressione di un approccio assolutamente ideologico privo di contenuti e conoscenza e magari probabilmente condizionato anche da interessi corporativi.
Un comportamento di una classe politica e burocratica europea e italiana supportato da schieramenti politici assolutamente pericolosi in quanto non in grado, forse anche per una propria disonestà intellettuale, di entrare nelle logiche complesse e soprattutto nelle cause articolate di un fenomeno mondiale come quello dell’inquinamento.
In questo contesto caratterizzato da problematiche complesse legate anche alle conseguenze economiche e sociali della pandemia l’approccio ideologico alle tematiche di sostenibilità rappresenta la peggiore forma di inquinamento con effetti disastrosi di gran lunga superiori a quelli dei carburanti fossili.
(*) fonti: www.lescienze.it, www.rinnovabili.it, www.noGeoingegnerie.com, www.TransportEnvironment.org
(**) www.infodata.ilsole24ore..com
(***) www.im.cnr.it
(****) www.cnr.it