L’Inquisizione fiscale e lo stato confessionale
L’inquisizione rappresentava l’istituzione ecclesiastica creata per indagare attraverso un tribunale le teorie contrarie alla ortodossia cattolica. Con “soli” pochi secoli di ritardo il nostro Paese adotta ora, nel XXI secolo appunto, il medesimo principio della supremazia statale confessionale adottata in campo fiscale attualizzando metodi e tecniche simili a quelle dell’inquisizione ma sintonizzate con l’era digitale.
Al processo del XVI secolo come strumento di indagine viene introdotto il monitoraggio di tutte le transazioni economiche anche per importi minimi attraverso l’applicazione di rilevazioni algoritmiche.
Un controllo assolutamente invasivo effettuato ex ante, quindi non a seguito di una “notizia di reato” come in ogni democrazia ma semplicemente alla ricerca di una motivazione o quantomeno di un plausibile dubbio tale da giustificare la stessa indagine esplorativa.
In altre parole viene meno il principio costituzionale basato sulla presunzione di innocenza del cittadino e quindi si adottata invece quello legato alla semplice ricerca di una potenziale eresia fiscale tale da giustificare la stessa. Prova di questo infausto declino della nostra democrazia verso uno stato confessionale del quale l’inquisizione fiscale rappresenta il braccio operativo va ricercata già nella terribile “riforma” introdotta dal ministro Tremonti il quale impose in ambito delle controversie fiscali l’inversione dell’onere della prova. Praticamente sull’eretico fiscale venne scaricato ogni onere di negazione della propria eresia fiscale.
Così, ora, si obbliga il cittadino a dimostrare la propria innocenza invece di assegnare allo Stato, come avviene in ogni sistema democratico, il compito di dimostrare la sua colpevolezza in ragione della presunzione di innocenza.
Questa sistematica e continua “medioevo-luzione” del sistema democratico italiano nasce dal furore ideologico di una parte degli esponenti politici e della stessa Sacra Inquisizione oggi rappresentata dai vertici della pubblica amministrazione, assolutamente intoccabile esattamente come le cariche ecclesiastiche.
In questo contesto nessun valore viene attribuito alla conoscenza in quanto si ignora come la stessa evasione fiscale rappresenti esattamente un quarto rispetto agli sprechi della pubblica amministrazione (200 mld, fonte Cgia) la cui dilapidazione non suscita alcuna indignazione presso la classe politica.
Non ancora sazi di questa invasione dello Stato, e di chi in suo nome opera nella privacy dei sudditi, ma sempre più motivati da un crescente ardore ideologico di stampo medievale nel 2022, in piena crisi economica, il governo in carica ha inserito un’altra alquanto folle norma alla già preoccupante evoluzione dell’economia pandemica: quella del limite all’uso del contante a 1.000 euro.
Al di là dei risibili effetti che questa norma potrà avere nei confronti dell’evasione fiscale, la quale in buona parte risulta legata ad esterovestizioni di società italiane, in questo demenziale decreto governativo si prevede contemporaneamente per le persone provenienti dall’estero un limite di 15.000 euro all’uso dello stesso contante.
Ancora una volta assistiamo all’ennesima dimostrazione di come lo Stato italiano consideri sempre e comunque i propri cittadini come dei veri sudditi fiscali.
In ambito fiscale lo Stato confessionale disattende clamorosamente il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ponendo una discriminante in relazione alla residenza fiscale dei consumatori e, di conseguenza, con diversi limiti imposti.
Sempre e solo per il vile denaro del quale uno Stato assolutamente irresponsabile risulta sempre più assetato, ci si è illusi di avere secolarizzato la nostra democrazia quando invece si è assistito ad una semplice sostituzione. Oggi il nostro Paese ha assunto i connotati di uno Stato Confessionale all’interno del quale la religione ha ceduto il posto ad un integralismo statocentrico di stampo Socialista incompatibile con qualsiasi forma di democrazia.