“L’inutile” crescita della produttività
Da oltre due decenni nelle più diverse stagioni economiche, ma con una crescita della nostra economia mediamente pari ad un terzo della media europea, l’intero establishment economico ha sempre individuato nella mancanza della crescita della produttività la ragione principale del nostro inferiore tasso di sviluppo.
Ancora oggi, all’interno di una crisi economica mondiale nella quale l’Italia in Europa presenta la più alta percentuale di diminuzione del PIL (stimato in un -12,4%), ecco ripartire il mantra unificante che individua nella ricerca di un aumento della produttività la soluzione ai mali endemici della economia italiana.
Una tesi che potrebbe avere un senso solo se analizzata e soprattutto applicata non in modo grossolano come fino ad oggi si è assistito ma in modo specifico per diversi settori economici.
Va ricordato, infatti, per offrire un quadro comprendente i nostri principali competitori, come proprio in questa crisi da covid 19 la Francia abbia già dimostrato con degli atti legislativi l’intenzione di rilanciare il settore manifatturiero ed industriale con l’obiettivo di sottrarre al nostro Paese la seconda piazza in Europa di economia industriale dietro la Germania.
Contemporaneamente nel nostro Paese una classe politica assolutamente inappropriata non è ancora in grado di elaborare alcun piano strategico economico e tantomeno emerge una strategia che ponga come oggetto principale lo sviluppo della manifattura e dell’industria nella loro articolata complessità.
All’interno di questa incapacità di elaborazione il mantra della “ricerca di una maggiore produttività” ne rappresenta una delle stelle polari più evidenti nell’indicare la soluzione vincente per una ripresa economica.
In un recente studio pubblicato da Il Sole 24 Ore emerge come, dato 100 il valore della produttività del 1999, l’industria manifatturiera registri oggi un indice di 1229 certificando quindi la più alta crescita dell’indice di produttività in Italia, con l’ovvia conseguenza di aver ridotto il Clup (costo del lavoro per unità di prodotto) al netto ovviamente della pressione fiscale e previdenziale in costante aumento.
Quindi il settore industriale, all’interno di un mercato globale, attraverso l’innovazione non solo di processo ma anche di prodotto ha risposto in modo propositivo alla concorrenza globale, come ampiamente già sottolineato (https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-produttivita-da-fattore-economico-a-mito-predigitale/#).
Per contro, partendo sempre dall’anno 1999, la pubblica amministrazione ha ridotto il proprio indice di produttività all’87,5%. La differenza tra l’andamento dei due indici, il primo (manifatturiero) di forte crescita, il secondo (pubblica amministrazione) in contrazione, di fatto dimostra come con la propria decrescita sostanzialmente il settore pubblico annulla il valore ottenuto dal settore industriale esposto alla concorrenza globale (https://www.ilpattosociale.it/attualita/1977-la-produttivita-lineare-2020-la-produttivita-progressiva-e-verticale/).
Questi dati di fatto dimostrano, ancora una volta, come all’interno di un sistema competitivo globale un’economia per quanto risulti in grado di affrontare le sfide internazionali del mercato globale attraverso l’innovazione di processo e prodotto che si traduce in un aumento della produttività veda vanificati tutti i propri sforzi da una pubblica amministrazione la quale invece regredisce nella propria capacità di offrire servizi ad aziende e cittadini.
Ecco così spiegato il senso “dell’inutile” crescita della produttività se il fattore della pubblica amministrazione risulti avverso tanto alle aziende quanto ai lavoratori e ai cittadini.