L’università e la banda dei quattromila
Risulta sempre molto difficile individuare la corretta definizione di cultura, in quanto molto spesso questa si può più agevolmente identificare attraverso l’individuazione di “comportamenti elevanti” dei singoli più che da generiche figure retoriche.
La cultura, per propria natura, rappresenta un valore aggiunto e fornisce gli strumenti idonei per adottare comportamenti i quali trascendano dai banali interessi di schieramenti politici ed ideologici. La sua acquisizione, quindi, dovrebbe sempre assicurare il conseguimento dell’obiettivo principale di questo valore, rappresentato dalla possibilità di un confronto umano e dialettico anche tra esponenti con posizione opposte ed anche estreme.
Al tempo stesso risulta assai facile accorgersi della sua assenza, basti ricordare la recente follia massimalista espressa con il divieto opposto all’esibizione di concertisti ed artisti in quanto nel DNA presentavano una “russa” colpa, cioè di rappresentare il paese di Putin.
Una scelta anticulturale e contemporaneamente un esempio classico di come in quei momenti la politica si sia dimostrata assolutamente incapace di assicurare anche il minimo flusso culturale garantito dalla stessa performance dell’artista.
Tuttavia, la peggiore versione dell’anticultura (la negazione di tutti i valori che la cultura invece dovrebbe assicurare) viene ora rappresentata da quel mondo universitario impregnato di ideologia e massimalismo politico il quale chiede di interrompere ogni rapporto culturale e di confronto con le università israeliane.
In questo contesto andrebbe ricordato ai quattromila (4.000) eruditi docenti universitari come un qualsiasi mondo accademico nazionale non possa venire identificato con l’indirizzo politico dello Stato, sia esso dislocato tanto in Corea del Nord, Cina. Israele o Stati Uniti.
Al contrario, l’università, se veramente democratica, può talvolta venire definita come la rappresentazione, anche se parziale, di una variegata cultura contemporanea, ma non certo l’espressione di una realtà politica e governativa nazionale.
Questa degradante richiesta si rivela come la classica affermazione di quella anticultura, per di più in ambito accademico, e si conferma come l’antitesi di quel “comportamento elevante” a cui si faceva riferimento prima. Un comportamento che, proprio grazie alla disponibilità di strumenti culturali, dovrebbe permettere alle persone di elevarsi a latitudini ben superiori rispetto alle terrene contrapposizioni politiche ed ideologiche espresse dalla “banda dei quattromila”.
Mai come ora questa porzione del mondo accademico si rivela come una mediocre espressione di quella anticultura nella sua forma più mediocre in quanto questa dimostra di non possedere il livello minimo di strumenti culturali i quali permetterebbero il mantenimento di un canale aperto e praticabile all’interno del quale valorizzare la possibilità di un confronto dialettico rispetto al contesto politico ed ideologico.
Il declino di un paese trova le proprie conferme proprio là dove dovrebbe regnare la cultura come valore aggiunto, ed invece si rivela il terreno di conquista di una qualsiasi “banda dei quattromila”.