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Magneti Marelli: dalla possibile quotazione alla cassa integrazione

A soli dieci mesi dalla vendita  della Magneti Marelli ceduta ad una società giapponese dalla galassia del gruppo Agnelli, ecco partire la cassa integrazione per 910 dipendenti, compresi anche i centri di sviluppo in Italia che avrebbero dovuto rappresentare la garanzia di evoluzione dell’azienda stessa.

L’allora amministratore delegato del gruppo Marchionne aveva indicato nella quotazione la via migliore per mantenere l’azienda in costante e continuo sviluppo all’interno di un perimetro dell’Automotive in forte e continuo sviluppo. Purtroppo la sua visione è risultata assolutamente disattesa ed inascoltata ed il gruppo torinese con sede legale in Olanda e fiscale a Londra ha ceduto l’azienda  al colosso giapponese Calsonic Kansei .

Questa operazione ha portato alle casse della Holding Agnelli oltre due miliardi di extra dividendo e conferma ancora una volta il trend degli ultimi vent’anni che ha visto una diminuzione della capacità produttiva della famiglia torinese nel settore auto al 50% ed una diminuzione dei dipendenti del 40%.

Molto spesso, e a ragione, si attribuiscono le responsabilità del declino economico del nostro paese ad una classe politica incapace di avere una visione futura di sviluppo strategico in ambito economico. Questa deficienza strategica purtroppo nello specifico è attribuibile anche alla classe imprenditoriale italiana (o meglio ad una sua parte, per fortuna) la quale perde il ruolo di traino all’interno del contesto italiano e preferisce accodarsi alla politica delle dismissioni, parallela manifestazione in ambito economico del declino culturale (https://www.ilpattosociale.it/2018/10/24/1987-common-rail-2018-magneti-marelli-le-pericolose-similitudini/).

Esattamente come avvenne con il common rail (invenzione e relativo brevetto nati in casa Fiat), destinato a rivoluzionare il motore a gasolio e che avrebbe potuto portare il gruppo torinese ai vertici mondiali, così anche in quel caso si preferì la cessione al gruppo Bosch al fine di capitalizzare immediatamente il valore dell’Innovazione. Con questa decisione si persero in un colpo solo il fattore moltiplicatore economico ed occupazionale che tale innovazione avrebbe potuto avere in ambito italiano ma anche il possibile ruolo guida che una società di imprenditori potrebbe e dovrebbe esprimere all’interno del proprio Paese.

Mai come adesso questa tipologia di imprenditoria italiana rappresenta una delle cause del nostro declino economico.

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