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Magneti Marelli: opera in tre atti di scena al teatro Grande Italia

Atto primo2018: dalla possibile quotazione alla vendita.

Sergio Marchionne in qualità di amministratore delegato della FCA, controllante la Magneti Marelli, si era espresso a favore della quotazione dell’azienda italiana, anche perché attraverso la borsa il management della Holding avrebbe ottenuto il duplice obiettivo di mantenere il controllo e contemporaneamente ottenere le risorse finanziarie necessarie al fine di affrontare la sfida globale all’interno di un mercato globalizzato.

Solo pochi mesi dopo la prematura scomparsa del manager canadese gli eredi di casa Agnelli hanno optato, invece, per la comoda cessione dell’azienda dimostrando di non possedere alcuna vocazione imprenditoriale e manageriale ma semplicemente la naturale, quanto popolana, propensione alla figura del venditore per massimizzare un guadagno “tutto e subito” (05.10.2018 https://www.ilpattosociale.it/2018/10/24/1987-common-rail-2018-magneti-marelli-le-pericolose-similitudini/).

Atto secondo. 2019: la depatrimonializzazione del Paese.

La cessione di questo gioiello industriale da parte degli azionisti di riferimento di casa Agnelli sicuramente ha portato dei benefici finanziari immediati ai componenti della famiglia. Contemporaneamente ha impoverito il tessuto industriale del nostro Paese e la filiera dell’automotive, un settore da sempre fortemente export oriented. Risulta evidente, infatti, come successivamente alla acquisizione dell’azienda italiana la head strategica della società sia stata trasferita all’interno dell’azienda acquirente, in Giappone.

A questa ulteriore “delocalizzazione di alto di gamma” e relativa all’intero know how di cui Magneti Marelli era dotata come sintesi di patrimonio di decenni di ricerca e sviluppo umano ed industriale va contabilizzato un ulteriore effetto di questa cessione, ovvero la depatrimonializzazione dell’economia italiana, in particolare di quella industriale. Come ulteriore logica conseguenza va sottolineata, infatti, la perdita di potenzialità strategiche all’interno delle complesse elaborazioni delle filiere industriali e, nello specifico, dell’automotive

Questa diminuzione della centralità inevitabilmente si manifesta anche attraverso la marginalizzazione degli stabilimenti italiani nelle politiche complessive di gestione e, di conseguenza, anche del personale (02.10.2019 https://www.ilpattosociale.it/2019/10/02/magneti-marelli-dalla-possibile-quotazione-alla-cassa-integrazione).

Terzo atto: 2021

Nel settembre 2021, dopo una pandemia i cui effetti economici sono ancora lontani dall’essere contabilizzati nella loro complessità risulta come inevitabile conseguenza la scelta della società, ora azionista di maggioranza della Magneti Marelli, di cominciare a dismettere parzialmente parte dei siti produttivi non considerati più funzionali ai trend di crescita adottati, riducendo, di conseguenza, il personale impegnato.

Il tutto all’interno di una visione strategica concentrata attorno alle realtà produttive dislocate all’interno di quel mercato divenuto sempre più strategico, ovvero la Cina (https://www.ilsole24ore.com/art/marelli-taglia-1500-lavoratori-tutto-mondo-e-rafforza-attivita-cina-AEzmzkk).

Finale2021 

Si ringraziano sentitamente gli spettatori lautamente retribuiti, rappresentanti di buona parte della classe politica italiana e di quella accademica, incapaci di cogliere per tempo la drammaticità delle conseguenze di scelte, va ricordato sempre legittime, degli eredi di casa Agnelli, dimostrando, ancora una volta, come un’economia nazionale possa venire svilita da una classe imprenditoriale e dirigente priva di ogni senso di responsabilità e di visone.

A questo si aggiunga anche l’effetto di una alleanza con una classe politica ma anche accademica in buona parte incapaci di esprimere quel minimo sindacale di competenza e quindi in grado di cogliere le priorità di un paese per assicurarne la crescita.

Applausi.

Sipario.

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