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Milano, licenziato senza preavviso: “Il tuo lavoro ora lo fa una macchina”

Un operaio 61enne è stato licenziato dall'azienda per cui lavora da trenta anni

Riportiamo di seguito un articolo pubblicato su ‘Affaritaliani.it’ e ripreso dal quotidiano milanese on line ‘Dieci alle cinque’ perché in sintonia con quanto pubblicato da ‘Il Patto Sociale’, in un articolo di Cristiana Muscardini, sui rischi che una robotizzazione incontrollata potrebbe apportare al mondo del lavoro causando licenziamenti e, di conseguenza, un aumento della disoccupazione, soprattutto tra quelle fasce di lavoratori che, per età, difficilmente troverebbero una nuova collocazione professionale.

Milano, un operaio 61enne è stato licenziato dall’azienda per cui lavora da trenta anni. E’ stata installata una macchina che fa il suo lavoro”. Licenziato dopo trenta anni di lavoro in una fabbrica di Melzo, nel Milanese.

Le motivazioni sono contenute nella lettera che la Grief Italia, ramo italiano di una multinazionale che produce taniche e contenitor, ha inviato all’operaio marocchino 61enne: nello stabilimento è stata installata una macchina che svolge in automatico quello che è stato il suo lavoro. Quindi l’uomo non serve più e non è stato possibile assegnarlo ad altre mansioni perchè tutte le posizioni sono già occupate. Il 61enne, per di più disabile perchè nel 1991 ha perso una mano, era addetto al posizionamento di tappini provvisori sui fusti prima della loro verniciatura. Si tratta di “licenziamento per giustificato motivo oggettivo con esonero dal preavviso”, per il quale all’operaio è riconosciuta l’indennità di legge.

Ma lui protesta: a quattro anni dalla pensione, difficilmente troverà un altro lavoro. E chiede almeno il pagamento dei contributi. Un primo tentativo di mediazione tramite i sindacati è fallito. E l’operaio si è rivolto all’avvocato Mirko Mazzali, che al quotidiano Il Giorno ha dichiarato: “Non si può licenziare una persona che ha lavorato trent’anni in un posto, prossima alla pensione, perché una macchina ha preso il suo posto. Tanto più se si tratta di una persona con una disabilità tale da rendere difficoltosa la ricerca di un nuovo impiego”.

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