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Nel ventre molle della Ue la diversa visione di Germania ed Italia

Molto spesso vengono giustamente criticate le autorità politiche e governative italiane a causa della loro inadeguatezza nella visione strategica dello sviluppo economico ed in particolare nei confronti di una vera strategia industriale.

La lontananza dal mondo produttivo è confermata, ancora una volta, da questo governo il quale riduce le risorse finanziarie messe a disposizione dal Recovery Fund da 35 a 25 miliardi. Questa scelta risulta essere una ulteriore dimostrazione dell’incapacità di comprendere i connotati del necessario supporto finanziario ed infrastrutturale che successivamente potrebbero trasformarsi in fattore competitivo stabile.

L’avvilente quadro politico italiano, tuttavia, è ampiamente simile a quello offerto dai quadri politici e burocratico-dirigenziali dell’Unione Europea.

All’interno di una economia globale sostanzialmente identificabile in tre macroaree di mercato e di capacità di influenza dominate dagli Stati Uniti (1) e dalla Cina (2), l’Unione europea (3) rappresenta il ventre molle per la propria scarsa capacità di influenza istituzionale, politica ed economica.

E’ di soli due anni fa la scellerata decisione di bocciare la fusione fra Alstom e Siemens viziata da una visione domestica dell’economia europea ed espressione della incapacità di adottare un respiro globale impedendo così la creazione di un competitor internazionale nei confronti dei colossi cinesi e statunitensi (https://www.ilpattosociale.it/europa/lunione-europea-espressione-del-ritardo-culturale/).

Questa incapacità europea interamente attribuibile alla classe politica e dirigente di burocrati rappresenta il maggiore limite allo sviluppo del continente europeo in quanto ogni decisione politica e strategica presenta come visione il mercato interno molto lontano dalla competizione globale. Va sottolineato, poi, come la stessa puntigliosa ed in parte giustificata contrarietà europea agli aiuti di Stato (assolutamente giustificata quando tende a mantenere in vita aziende decotte come Alitalia) diventa un grottesco arroccamento su principi decisamente infantili-economici se confrontati con i reali comportamenti dei competitor nel mercato internazionale.

Questo strabismo europeo ed una inadeguata coerenza permettono a soggetti economici partecipati dallo Stato cinese di acquisire aziende private come l’Iveco venendo meno ai più elementari principi della concorrenza globale. In altre parole, quanto è vietato in Europa viene invece considerato espressione del libero mercato per i competitor mondiali.

La sintesi, quindi, di questa incapacità governativa italiana coadiuvata dal medesimo strabismo dell’Unione Europea creano una miscela devastante confermando il processo di deindustrializzazione italiano ed europeo.

L’ennesima conferma dell’assoluta volontà di non supportare il sistema produttivo che rimane l’unico settore che possa rappresentare un volano per la ripresa economica, in particolar modo nelle prime fasi successive la pandemia.

In questo contesto, tuttavia, spicca la strategia isolata della Germania la quale, invece, con la classe dirigente della Volkswagen sta realizzando un polo degli autoarticolati nato dalla fusione della tedesca Man con la svedese Scania unita anche all’americana Novistar.

La creazione di un polo industriale dei mezzi pesanti determina l’arricchimento del know-how storico e progettuale tedesco e del loro fatturato con la semplice acquisizione. Viceversa, l’operazione Iveco trasferisce in un colpo solo decenni di ricerca e know-how che la casa italiana aveva raggiunto e sviluppato: per di più rendendola disponibile anche allo stesso stato cinese che partecipa nella società acquirente. Una scelta legittima ovviamente per quanto riguarda la parte imprenditoriale in relazione alla volontà di abbandonare da parte della famiglia Agnelli un settore considerato non strategico. In aperto contrasto, tuttavia, con quanto indicato dal povero Marchionne il quale, già in occasione della vendita di Magneti Marelli, aveva definito invece come auspicabile la sua quotazione (https://www.ilpattosociale.it/attualita/magneti-marelli-dalla-possibile-quotazione-alla-cassa-integrazione/).

Gli effetti della diversa strategia di politica industriale si rendono evidenti perché permettono alla Germania di reperire le risorse necessarie (ristori) per le aziende chiuse durante la pandemia aumentando semplicemente di sei (6) punti il debito sul PIL dal 69% prima della pandemia al 71% nel 2020 fino al 75% per il 2021.

L’Italia si è invece presentata al febbraio 2019 con un debito pubblico al 135% sul PIL ed ora si trova con 25 punti percentuali in più (160% debito pubblico/Pil) ma sempre in difficoltà nel reperire comunque le risorse necessarie per il Ristori.

Paradossale poi che tanto il governo italiano quanto le autorità europee applaudano all’elezione di Joe Biden il quale fa partire proprio dal supporto alle imprese industriali la propria strategia per lo sviluppo successivo alla pandemia (https://www.ilpattosociale.it/attualita/president-biden-1-2-3-7/).

Il ventre molle europeo nasce dalla presunzione di una classe politica e dirigente autoreferenziale nazionale ed europea convinta di mantenere il livello di galleggiamento di un sistema politico istituzionale con la semplice gestione della pressione fiscale. Ignorando, invece, per evidente deficit formativo, i diversi fattori che concorrono a determinare la base imponibile come espressione di una crescita economica.

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