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Parità retributiva e disparità di costo della vita, un nodo da affrontare nella manovra del governo

Secondo uno studio della Cgia di Mestre, che ha elaborato i dati forniti da Inps e Istat, gli stipendi del Nord Italia sono più alti del 35% rispetto a quelli del Sud, la differenza sarebbe dovuta alla maggior produttività del lavoro nel Nord. Se in Lombardia la media annua di retribuzione è 28.354 euro, in Calabria scende a 14.960. Negli ultimi anni è cresciuta anche la produttività dell’Emilia Romagna.

Secondo la ricerca, al Nord si lavora 28 giorni in più all’anno.

Le ragioni della differente produttività del Nord e del Sud sarebbero anche dovuta all’economia sommersa, che nel Sud è più diffusa e che ovviamente non consente di conteggiare le ore lavorate irregolarmente. Al Sud vi sono inoltre molti lavoratori intermittenti, legati alle attività stagionali.

Lo studio della Cgia ripropone la questione degli squilibri retributivi nelle varie aree di Italia, non solo tra Nord e Sud ma anche tra aree urbani e rurali.

Negli anni ’70 furono abolite le cosiddette gabbie salariali, sostituite dal contratto collettivo nazionale di lavoro, contratto che però non ha prodotto gli effetti sperati visto che le disuguaglianze salariali sono rimaste e a volte anche aumentate. Bisogna infatti anche tenere conto che vi sono società private, e tra queste multinazionali, che operano prevalentemente al Nord e che sono più disponibili a corrispondere stipendi più elevati.

Se le gabbie salariali non avevano risolto all’epoca il problema né ora lo ha risolto il contratto nazionale, dovrebbe essere evidente la necessità, per il governo e le parti sociali, di trovare una soluzione alternativa.

Come abbiamo detto più volte, a identico lavoro deve corrispondere uguale stipendio e questo ovviamente vale anche per le donne che tuttora hanno retribuzioni inferiori. E’ altrettanto evidente però che lo stesso stipendio ha un potere di acquisto differente a seconda dell’area geografica in cui vive il lavoratore e il problema non è la retribuzione in sé ma il potere di acquisto della stessa.

Vivere a Milano è più costoso che vivere a Roma ed infinitamente più costoso che vivere a Salerno per non parlare ovviamene di altre aree del Sud. Lo stipendio di un ricercatore universitario a Milano non basta a consentirgli una casa in affitto e a tutte le spese correlate per la vita quotidiana mentre a Palermo lo stesso ricercatore può concedersi una vita discreta. Analoga disparità di costo della vita si riscontra tra chi vive nella grande città e chi vive in campagna: infatti, ad esempio, il costo della vita nel centro di Piacenza è superiore a quello nei paesi del territorio provinciale circostante.

Il problema perciò sarebbe, rimarcando nuovamente che a uguale lavoro deve corrispondere uguale stipendio, che lo Stato, identificando attraverso Regioni e Comuni le aree a maggior costo di vita, individuasse degli ammortizzatori sociali, dagli sgravi fiscali a quell’edilizia popolare che da decenni è ferma, che consentissero a tutti di poter vivere dignitosamente. Vi è inoltre il problema causato dall’eccessivo costo della vita in alcune aree che spinge molto persone del Sud a richiedere, dopo aver vinto un concorso pubblico al Nord, di essere ritrasferite al Sud dove la vita è meno costosa.

Si avvicina il momento della legge di bilancio che, come sappiamo, affronterà una serie di temi diversi. La nostra speranza è che lo studio della Cgia e l’auspicabile conoscenza del problema da parte dei ministri preposti ai problemi del lavoro induca il governo a indicare soluzioni.

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