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Pitti Uomo: dei successi e delle prospettive

La rassegna fieristica fiorentina Pitti Uomo dimostra ancora una volta la propria caratura mondiale proponendo dati e prospettive che coinvolgono il complesso sistema tessile abbigliamento italiano all’interno di un mercato globale.

Il fatturato dell’intero settore Uomo cresce del +4% raggiungendo quasi quota 10 miliardi (9.900 mln) ma soprattutto presenta un dato ancora più indicativo relativo all’inversione di tendenza del valore della produzione italiana complessiva. Mentre l’anno precedente si era registrata una flessione del  -1,7% per i primi nove mesi del 2019 cresce del +1,9% il valore del fatturato prodotto e confezionato italiano. Una conferma di quanto, ancora oggi, possa risultare competitivo il sistema industriale PMI del tessile-abbigliamento italiano anche all’interno di un mercato fortemente compresso sul fattore costi.

I dati positivi relativi alla crescita del fatturato e della produzione italiana vanno quindi interamente attribuiti alla capacità imprenditoriale e manageriale delle aziende italiane e suggeriscono contemporaneamente una serie di considerazioni.

Mentre la domanda globale continua a dimostrare la propria attenzione verso un prodotto made in Italy, le associazioni di categoria cavalcano a livello comunicativo il solo fattore “sostenibilità” legato al riconoscimento di eventuali sgravi fiscali. Una posizione ed una strategia comunicativa condivisibile ma espressione di una mancanza di consapevolezza relativa a come già dal 2018 in Europa il sistema italiano delle PMI risulti ampiamente a minore impatto ambientale. Quindi  le rivendicazioni di sostegni fiscali dovrebbero risultare espressione del giusto riconoscimento dei traguardi raggiunti con grande impegno (https://www.ilpattosociale.it/2018/12/10/sostenibilita-efficienza-energetica-e-sistemi-industriali/). L’incompetenza dei governi invece riconosce sgravi  fiscali per le tecnologie elettriche nella movimentazione (peraltro quasi tutte estere) senza sostenere invece gli ottimi risultati raggiunti dalle PMI italiane.

Tornando alle considerazioni che la rassegna di Firenze propone, Pitti ha anche dovuto registrare un calo di afflusso di circa -10% legato soprattutto alla diminuzione dei buyer nazionali. È noto a tutti, ormai, come la distribuzione indipendente italiana stia soffrendo la concorrenza, spesso scorretta, dell’e-commerce successiva a quella della grande distribuzione negli ultimi due decenni. Uno dei fattori  che rende le piattaforme on-line convenienti è relativo alla compressione dei costi che vengono scaricati interamente sulla componente distributiva. Questa, a sua volta, determina una parcellizzazione delle consegne merci contribuendo molto più del traffico privato all’aumento dell’inquinamento dei centri storici: una problematica sicuramente sconosciuta ai sindaci italiani che continuano a penalizzare l’afflusso nelle città (https://www.ilpattosociale.it/2019/09/23/e-commerce-ed-economia-digitale-la-sostenibilita-del-dettaglio-tradizionale/).

Questa diminuzione del 10% delle presenze italiane meriterebbe una maggiore attenzione da parte del Governo il quale invece si occupa semplicemente delle grandi crisi come Alitalia ed Ilva ma anche della grande distribuzione come Auchan e Carrefour.

La sparizione del dettaglio indipendente nei centri storici delle città (circa 14 al giorno) meriterebbe una politica fiscale a sostegno delle piccole attività, magari a conduzione familiare, le quali invece vengono ogni anno gravate di nuovi obblighi fiscali come la fatturazione elettronica e lo scontrino digitale. In preda a questo furore fiscale inoltre non vengono assolutamente tutelati neppure i dipendenti di queste piccole attività. Quasi che la tutela dei lavoratori non sia espressione  di una democrazia e quindi del  riconoscimento dei diritti  ma semplicemente del numero dei richiedenti al fine di ottenerne il riconoscimento.

Comunque, ancora una volta, Pitti rappresenta la fotografia del secondo sistema industriale italiano. Abbandonato da una classe politica che lo utilizza semplicemente per miserevoli passerelle ma anche con associazioni di categoria più interessate agli incentivi fiscali che non ai modelli un’impresa. Cominciando ad avviare un’analisi attenta in relazione all’esplosione dell’export di alcune province della Regione Toscana che pongono una diversa interpretazione del “modello d’impresa” come della sua crescita  (https://www.ilpattosociale.it/2018/09/27/svizzera-e-toscana-i-modelli-di-sviluppo-richemont/).

Sempre più Firenze rappresenta il punto di riferimento per un sistema industriale il quale si trova circondato dal disinteresse della politica e dalla mancanza di una visione strategica.

La sua crescita avviene nonostante tutto questo. Onore al merito.

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