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Politica o finanza?

Ancora una volta lo scontro tra il mondo della politica, compresi ministri del  governo in carica, con le principali istituzioni finanziarie europee dimostra come sia precario l’equilibrio tra i due ruoli  istituzionali.

Da una parte (1) il governo rivendica una maggiore autonomia decisionale relativa alle politiche economiche e finanziarie, ed in particolare in relazione al debito pubblico, dimostrando cosi quasi di voler tornare alla regola soppressa  nel 1981 che obbligava la Banca Centrale, nello specifico la Banca d’Italia, ad acquistare i debiti, i titoli e il debito pubblico italiano. Si dimentica però come questa fu proprio la politica monetaria che la BCE ha attuato fin dal 2011 attraverso il presidente Mario Draghi il quale acquisiva al mercato secondario  titoli invenduti del debito pubblico facendo abbassare quindi lo Spread. Successivamente questo intervento divenne istituzionale con l’introduzione del quantitative easing per offrire ossigeno alla economia europea.

All’interno di questa contrapposizione si trovano le principali istituzioni monetarie(2) e finanziarie le quali  rivendicano innanzitutto la propria vocazione istituzionale, cioè la lotta alla inflazione, quanto la stessa autonomia. In questo contesto di separazione dal mondo della politica le stesse  giustificano le proprie scelte soprattutto in relazione alla crescita dei tassi di interesse sulla base degli scenari economici forniti dai diversi algoritmi perché va considerato e ricordato come la presidente della BCE giustificò la mancata previsione di una inflazione di lungo termine da una previsione errata degli algoritmi.

Tornando ora allo scontro tra i due soggetti emerge evidente l’ipocrisia che entrambe le posizioni esprimono.

Il governo ed il  mondo della politica in generale potrebbero rivendicare una maggiore autonomia dalle autorità monetarie nel momento in cui loro stessi rispondessero in proprio ed in solido degli eventuali disastri  causati con proprie strategie. Non è assolutamente sufficiente il mandato elettorale per ottenere una cambiale in bianco relativa alla propria azione quanto la sua eventuale perdita come il prezzo da pagare per gli errori commessi. Basti ricordare come la classe politica e governativa italiana abbia portato  il nostro Paese alle soglie della pandemia con un rapporto tra debito pubblico e PIL pari a 155% e, contemporaneamente, ha operato in modo da creare le condizioni per cui negli ultimi trent’anni il reddito disponibile dei cittadini italiani si sia ridotto del -3,4% mentre in Germania nel medesimo periodo è aumentato del +34,7%.

Quando, e solo quando , il mandato elettorale risulterà revocabile come un  qualsiasi contratto nel settore privato, solo  allora la politica potrà rivendicare una maggiore autonomia, pur restando la responsabilità di rispondere in solido degli eventuali errori ma soprattutto i danni arrecati al Paese.

Non una voce si è mai levata in cielo contro la BCE quando questa con politiche monetarie espansive come il quantitave  easing aveva inondato il mercato di liquidità portando gli interessi, e quindi i costi del servizio al debito, sotto la soglia dello  zero offrendo una possibilità unica nel suo genere dal dopoguerra ad oggi, cioè di ridurre il debito pubblico.

Viceversa tutti i governi che si sono alternati alla guida del Paese fino alla soglia del 2020 con la terribile pandemia hanno aumentato la spesa pubblica e la pressione fiscale. Contemporaneamente si sono  ridotti gli investimenti per il sistema sanitario, dimostrando ancora una volta come la spesa pubblica rappresenti la prima forma di arricchimento per lobby e potentati vari.

Tornando alle istituzioni finanziarie, nel 1992, in un’intervista negli Stati Uniti, un importante economista affermò che l’economia sarebbe finita di li a pochi anni in quanto in tutte le società finanziarie erano entrati i matematici con l’applicazione dei loro algoritmi. Questa sottomissione algoritmica dell’intero mondo economico ma anche politico vissuta come una possibile riduzione dei costi e aumento delle redditività se da una parte ha tolto capacità di analisi, come molteplici espressioni di professionalità di alto livello, dall’altra ha permesso a persone prive di ogni competenza di raggiungere le vette dei principali organi finanziari solo ed esclusivamente per amicizie o vicinanze politiche. L’unica competenza richiesta rimane quella di leggere i risultati proposti dagli algoritmi.

In altre parole lo scontro tra i due soggetti non è altro che guerra fratricida tra due banali espressioni del genere umano, le quali utilizzano la politica come il palcoscenico per le proprie vanesie ambizioni o per servire gli interessi della minoranza nei confronti della maggioranza.

Mai come ora, ed in particolare in questi giorni, l’immagine sintesi di questo scontro tra politica italiana e mondo delle istituzioni finanziarie risulta imbarazzante e degradante soprattutto in funzione delle difficoltà che le imprese e i cittadini stanno affrontando da oltre tre anni.

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