Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono pubblicato sul Quotidiano La Sicilia del 21 agosto 2021
Questo antico detto siciliano è la perfetta sintesi di ciò che sta accadendo In Afghanistan, dove non siamo in presenza di una guerra perduta onorevolmente, ma, come nel 1975, ad una fuga disordinata e all’avallo di fatto del genocidio di milioni di persone lascate in balia dei sanguinari e vendicativi vincitori. Ma di chi la colpa?
Non c’è dubbio che la colpa principale sia di Trump e chi lo difende dovrebbe avere il pudore di ricordarsi che è stato lui a disporre la liberazione del Mullah Abdul Ghani Baradar, già numero due dei Talebani, vice del defunto capo storico Mullah Omar, dalle carceri Pachistane nel 2018, dove stava da otto anni, per farlo tornare a guidare il suo movimento estremista nelle trattative di pace di Doha.
E’ stato sempre Trump, ha sollecitare la conclusione delle trattative, affinché si arrivasse in tempo per il novembre 2020 ad utilizzarle per la sua rielezione a presidente degli USA e, per questo motivo, di accettare di chiudere l’accordo con la sola fissazione di due oscene condizioni e cioè che i Talebani si impegnassero a non attaccare più le forze americane ed alleate fino al loro definitivo rientro, e che si impegnassero a non dare più asilo ad organizzazioni terroristiche islamiche.
Nient’altro. Quindi avrebbero potuto, come hanno fatto, attaccare le forze afgane che, nel frattempo tutti sapevano che da sole non avrebbero resistito.
Dunque se è evidente che Trump avesse solo un interesse personale elettorale, peccato che poi ha ugualmente perso le elezioni per la scellerata gestione della pandemia e che ha del tutto ignorato la sorte dei collaboratori Afgani, ciò nondimeno Biden sapeva che sarebbe finita male e probabilmente, con un po’ più di coraggio, avrebbe potuto mettere le cose in modo tale da organizzare per tempo un esodo, almeno dei soggetti più esposti, ed evitare agli USA la ripetizione della tragedia dell’abbandono degli alleati al loro destino, con conseguente grave perdita di credibilità come alleato fedele e affidabile.
Ma Biden, altrettanto egoisticamente, si è solo preoccupato di non dare agli americani la sensazione di volere prolungare la permanenza in Afghanistan.
E invece questo massacro annunciato doveva essere evitato dagli USA in primo luogo e da tutte le altre potenze europee, così come appare insopportabile il silenzio di chi non perde occasione per sostenere le politiche di accoglienza dei migranti di ogni genere e che davanti a questa tragedia non parla, facendo finta di ignorare che la più importante e umana prova di solidarietà, oltre che obbligo morale e giuridico perché imposto dalla legge, è l’accoglienza e l’assistenza dei rifugiati e dei profughi da zone di guerra, oltre che perseguitati per qualsiasi ragione dalle autorità dei propri paesi, a maggior ragione se la colpa è di avere collaborato con chi senza vergogna li abbandona
Ma la vera morale di questa vicenda è che gli USA non amano perdere, anche se le sconfitte sono frutto dei loro stessi errori e, quando decidono di chiudere una partita in perdita, lo fanno a velocità supersonica e senza guardarsi indietro.
Dopo il Vietnam, gli USA hanno capito come sia difficile riconquistare la fiducia di alleati alla luce delle conseguenze dei loro egoistici comportamenti.
Ma la storia, con la caduta dell’URSS, ha dato loro la possibilità di quasi 20 anni di dominio incontrastato nel mondo, come unica super potenza mondiale.
Ma da oltre un decennio non è più esattamente così e l’epilogo tragico dell’Afghanistan potrebbe costare caro in futuro agli USA, essendoci altre due super potenze concorrenti e alla ricerca famelica di nuovi alleati.
Ma che mondo sarebbe quello governato dai tre imperi, in concorrenza perenne tra loro e con i singoli Paesi Europei costretti alla costante ricerca individuale di alleanze, da pagare a caro prezzo soprattutto in termini di cessione di sovranità?
Ecco perché il sovranismo interpretato in chiave nazionalista è un errore. E perché soprattutto i popoli europei dovrebbero stare attenti alla assoluta ed indifferibile necessità di dare vita ad una Federazione degli Stati Uniti d’Europa, per superare l’inadeguatezza strutturale oltre che politica dell’Unione Europea, con cui mettere finalmente insieme economie e potenza militare, per edificare la quarta super potenza mondiale e ridare al vecchio continente il ruolo che gli spetta nel mondo.
Restare con l’attuale status quo è rimanere in balia degli eventi, dei desiderata e dei calcoli di interesse delle superpotenze e personali dei loro Presidenti, con il rischio che, come nell’Italia preunitaria, agli Stati Europei non resterebbe che diventare il prossimo terreno di scontro dei tre grandi, per il dominio delle loro ricchezze, perché nessun Paese dell’Unione, restando da solo sarebbe in grado di difendersi.
Il futuro è sovranista solo nella dimensione federale dei 27 Paesi che attualmente compongono l’Unione, o di chi tra questi ci vuole stare, in condizione di assoluta parità, perché in democrazia l’uguaglianza è garantita dal diritto di cittadinanza e, quindi, dal diritto di voto ad eleggere il governo, preferibilmente Presidenziale e il Parlamento, creando finalmente quella unificazione dei popoli europei che senza una visione federale, rischia solo di essere una inutile ed ingannevole utopia.
Già sottosegretario per i BB.AA.CC.