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Solo con la crescita economica si ottiene la vera sostenibilità

Iniziano a trapelare, con interesse progressivo, le anticipazioni del programma che il presidente incaricato Mario Draghi ha intenzione di sottoporre alle forze politiche.

Per cominciare, viene indicata la rinnovata spinta alla digitalizzazione della pubblica amministrazione che rappresenta sicuramente un fattore positivo sotto il profilo funzionale. Questo processo “innovativo” non può non tener conto di un’analisi più approfondita relativa alle dinamiche della produttività della pubblica amministrazione rispetto al settore privato. Dal 1999 la produttività del settore privato, dato 100 il valore base, è aumentata di 29 punti mentre quella nella pubblica amministrazione è diminuita di 12,5 punti (87.5).

In altre parole, il processo ancora incompleto della digitalizzazione non ha comportato alcun miglioramento dei servizi ma paradossalmente un loro progressivo peggioramento (https://www.ilpattosociale.it/attualita/linutile-crescita-della-produttivita/). Una perdita di produttività che non solo aumenta i tempi e diminuisce il livello del servizio reso dalla P.A. ma vanifica anche gli sforzi compiuti dalle imprese private nell’aumentare la propria dovendo competere all’interno di un mercato globale e competitivo.

Una sfida importante per il sistema economico italiano il quale deve poter contare sulla sicurezza di un pacchetto di servizi offerti dalla pubblica amministrazione, altrimenti la stessa struttura diventa un fattore anticompetitivo.

Oltre a questi aspetti di natura puramente economica non si può non rilevare come il lungo processo di digitalizzazione si stia amaramente trasformando nel semplice trasferimento di ogni onere sull’utenza finale di cui i clickday ne rappresentano l’evento più eclatante.

In altre parole, una vera riforma della Pubblica Amministrazione deve comprendere al proprio interno il fattore tecnologico e digitale ma deve porsi anche un obiettivo assolutamente nuovo. Questo traguardo viene rappresentato dal trasferimento della centralità, assolutamente autoreferenziale, della pubblica amministrazione alla prevalenza degli interessi dell’utenza e porre, quindi, al centro della propria mission l’utenza la quale deve trovare un supporto professionale alla propria vita quotidiana come al proprio lavoro.

Un cambiamento epocale che potrebbe trasformarsi in un fattore “psicologico” importante per l’utenza complessiva con l’implicito obiettivo di ritrovare anche una nuova fiducia (sentiment) nei confronti dello Stato. Una incertezza legata alla mancanza di fiducia della relazione con lo Stato la quale concorre, unita a quella economica, a produrre il progressivo aumento dei risparmi come forma di difesa.

Questa terribile pandemia, a distanza di un anno, ha causato dei danni incredibili ed inimmaginabili i cui effetti devono essere assolutamente limitati proprio dall’azione del programma del nuovo governo.

Tutte le giuste riforme ipotizzate, P.A e Giustizia, sicuramente sono importanti per snellire i tempi della Giustizia (fattore fondamentale nell’attrarre investimenti esteri) specialmente in ambito civile.

La vera crescita della ricchezza prodotta, e quindi del PIL, viene tuttavia favorita soprattutto dalle strategie che propongono scelte effettive e concrete. In altre parole, il governo incaricato dovrà porsi degli obiettivi e degli strumenti reali per il loro raggiungimento.

In questo contesto può dimostrarsi utile e costruttivo anche copiare da altri modelli economici ed industriali di successo. Ecco, allora, come la riduzione della filiera produttiva risulti ora, non solo logisticamente ma anche economicamente, competitiva ed in questo senso andrebbe supportata da una fiscalità di vantaggio come azione di supporto del governo in carica. Contemporaneamente la tutela della proprietà intellettuale potrebbero rilanciare la nostra economia più di nuovo debito pubblico per realizzare infrastrutture la cui ricaduta è solo nel medio e lungo termine (https://www.ilpattosociale.it/attualita/made-in-italy-valore-economico-etico-e-politico/).

Una strategia che dovrà vedere impegnati sicuramente anche il mondo industriale il quale non dovrà più solamente cercare il costo minore nel mondo produttivo globale ma privilegiare la qualità di un prodotto intermedio che possa assicurare anche una tempistica molto più veloce per rispondere ad un mercato sempre più impaziente.

Risulta evidente, quindi, come lo sforzo debba essere compiuto tanto dallo Stato, che deve cambiare il proprio atteggiamento nei confronti dell’utenza, quanto dal mondo imprenditoriale. Contemporaneamente la riallocazione all’interno del perimetro nazionale delle filiere produttive rappresenta una strategia vincente a differenza di quella esclusivamente finalizzata all’ottenimento della massima remunerazione del capitale (sempre legittima ma molto speculativa se ottiene la deindustrializzazione del proprio paese).

In questo rinnovato contesto anche la stessa adozione di modelli di paesi appartenenti alla medesima area democratica e liberale occidentale, come gli Stati Uniti, rivelarsi, estremamente validi tali da venire adottati nel nostro Paese con l’esplicito fine di ridare forza alla crescita della ricchezza e del valore aggiunto. Non a caso la nuova amministrazione statunitense sotto la guida di Biden ha reso già da ora più vincolante il protocollo per ottenere il made in USA e contemporaneamente ha adottato l’obbligatorietà per le aziende che lavorino con l’amministrazione statunitense di produrre beni e servizi all’interno degli Stati Uniti (https://www.ilpattosociale.it/attualita/president-biden-1-2-3-7/). In questo senso è esemplare l’importante blocco di un lotto di importazioni di filati di cotone provenienti dalla Cina in quanto la produzione utilizzava dei rappresentanti delle minoranze etniche in vere condizioni di schiavitù. Questo ultimo episodio dimostra ed apre anche nel nostro Paese il nuovo concetto di sostenibilità la quale non deve essere esclusivamente relativa alla riduzione per quanto possibile dell’utilizzo dell’energia quanto invece l’espressione di una rinnovata tutela del prodotto espressione di una intera filiera produttiva come sintesi di know how industriale, artigianale e professionale.

La vera Green Economy è quella in grado di ridurre al massimo l’utilizzo della energia ma contemporaneamente si pone l’obiettivo di tutelare i prodotti come espressione di professionalità che intervengono da monte a valle nella articolata produzione di prodotti complessi.

In questo contesto di rinnovato riconoscimento della capacità produttiva e propositiva e della sua capacità di accrescere il Pil potrebbe sembrare inutile e quasi manieristico ricordare come la tutela del made in Italy, esattamente come ora negli Stati Uniti, risulti uno dei più importanti fattori che possano assicurare la crescita e l’occupazione del nostro Paese.

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