Svizzera e Toscana: i modelli di sviluppo Richemont
La realtà supera spesso ogni modello di riferimento. Al di là della la specificità del mercato alto di gamma della orologeria svizzera, della quale IWC è sicuramente uno dei massimi esempi, l’essenza del nuovo sito di produzione IWC dovrebbe rappresentare l’esempio della nuova strategia industriale che il gruppo di Schaffhausen sta consolidando.
All’interno del nuovo centro di produzione infatti verranno realizzati sotto il medesimo tetto tutti i vari componenti dei prestigiosi orologi, come le casse, ma anche i movimenti degli orologi IWC.
Una scelta strategica ed una politica industriale confermata anche dall’investimento che lo stesso gruppo Richemont sta realizzando parallelamente in Toscana. Il gruppo svizzero di proprietà sudafricana infatti ha trasformato quella che era una azienda di pelletteria, “Mont Blanc pelletteria”, nel gruppo “Richemont pelletterie” che produrrà per l’intero gruppo che possiede marchi di altissimo prestigio, cinture, accessori e borse, quindi con un “valore unitario” certamente inferiore rispetto all’alta orologeria svizzera. Tuttavia viene confermata la filosofia di organizzazione industriale.
L’investimento di Schaffhausen nel sito di produzione dei famosi orologi IWC, come quelli in Toscana, dimostra la volontà del gruppo svizzero di organizzare la produzione attraverso una centralizzazione e gestione interna in assoluta antitesi rispetto all’outsourching, che ha come obbiettivo strategico la trasformazione di tutti i costi fissi in costi variabili.
La scelta strategica viceversa viene considerata dal gruppo svizzero valida sia per prodotti ad alto valore aggiunto, come l’orologeria, che per prodotti di pelle che hanno un valore inferiore, quindi indipendentemente dal ” valore intrinseco” del prodotto,ma semplicemente dal posizionamento nell’alto di gamma per ogni settore merceologico.
In un mercato globale nel quale non esistono più le canoniche stagioni di vendita come di produzione l’intero arco dell’anno si presenta come una unica stagione per entrambe le funzioni industriali, sempre in costante e continua ricerca della sintonia con i mercati che manifestano esigenze e peculiarità tra le più diverse, il gruppo svizzero dimostra la propria soluzione strategica a tale richiesta del mercato globale ed una delle ragioni del proprio successo e della crescita rispetto alle altre dottrine economiche anacronistiche per un mercato globale. In più, l’applicazione della digitalizzazione nell’organizzazione produttiva (la tanto osannata industria 4.0) permette al gruppo svizzero di minimizzare l’impatto dei costi della gestione ed organizzazione interna della produzione rispetto al vantaggio di un Time to Market assolutamente vincente e minimo rispetto ad un’azienda terziarizzata così da risultare perfettamente in sintonia con le diverse stagionalità di un mercato globale.
Questa organizzazione strategico-industriale si confronta nel nostro Paese con il senso generale della ineluttabilità delle vendita dell’ennesimo gruppo italiano, Versace, ad un azionista statunitense. Le ragioni possono risultare molteplici e non escludono una incapacità dell’attuale proprietà di interpretare le innovazioni e richieste di un mercato sempre più esigente e competitivo.
Sembra del resto incredibile come ancora una volta si assista ad una incapacità di interpretazione ma soprattutto di comprensione di come il sistema moda risulti superato, in termini di riferimento, come modello industriale dall’ agroalimentare e dal sistema del mobile e dell’arredamento.
Certamente la legittima cessione dell’azienda da parte dalla famiglia nasce anche da un abbandono del mondo del credito che sempre meno sostiene le imprese e tanto meno i loro programmi di sviluppo, specie se Pmi.
Ora, tornando al gruppo svizzero Richemont, resta da chiedersi come possano esistere, in Svizzera ed in Italia, realtà economiche assolutamente contemporanee e vincenti ma al tempo stesso distanti da quella proposta economico strategica sostenuta dal mondo politico e dal mondo accademico negli ultimi vent’anni.
Paradossale poi come “i nuovi e vincenti modelli economici e soprattutto aziendali” non vengano più dalla elaborazione di modelli legati alla sola vitalità delle nostre Pmi (che continuano impavide e sole nel mercato internazionale) ma da aziende estere che hanno saputo rielaborare il nostro modello di “creazione del valore” classico degli anni ottanta ma che nel loro sviluppo risultano arenate anche per incapacità di sintonizzazione delle proprie evoluzioni con il mercato globale.
Non cogliere il significato strategico delle scelte del Gruppo Svizzero in Svizzera e in Toscana rappresenterebbe un errore di dimensioni epocali…