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Transizione energetica, un grande prato verde dove nascono speranze che costano care

Dario Rivolta

Il tempo passa ma i problemi sembrano rimanere gli stessi, per questo vi proponiamo quanto l’On. Dario Rivolta aveva già scritto

Chi non sarebbe contento di vivere in un mondo con l’aria pulita, senza drastico sfruttamento di risorse non rinnovabili e senza la minaccia dell’aumento delle temperature? Evidentemente nessuno.

Arrivare a questa situazione certamente idilliaca sembra essere finalmente diventata la meta comune di tutti i governi di quei Paesi che si sono riuniti prima a Roma e poi a Glasgow, concordando (chi più, chi meno) sul progetto di “Transizione Verde”.

L’obiettivo è sicuramente molto ambizioso, ma sembrerebbe che oramai la strada sia stata imboccata e tutti dovremmo esserne contenti.

Purtroppo, i saggi decisori, che si aspettano comunque di essere applauditi, ci hanno taciuto (o forse hanno considerato poco importante dircelo) che questa bellissima transizione dall’energia derivante dai fossili a quella basata soltanto su fonti rinnovabili non è quel paradiso che molti di noi sognano.

Il lato oscuro del “verde”

Il percosso verso la decarbonizzazione, in effetti, sarà molto più industriale ed energivoro di quanto gli ottimisti sembrano credere. Per realizzarla servono infatti molti minerali complicati da estrarre e sarà necessaria la creazione di nuove strutture a latere.

Per dare qualche esempio, la costruzione di un parco eolico da 100 megawatt richiede trentamila tonnellate di minerali ferrosi, cinquantamila tonnellate di cemento e almeno novecento tonnellate di plastica e resina.

In un impianto solare della stessa potenza il ferro e l’acciaio necessari sono tre volte tanto e solo il cemento sarà impiegato in quantità minore che nell’eolico.

Nel progetto lanciato dall’Unione Europea la produzione di energia elettrica derivante da questi impianti dovrebbe passare dai 1500 gigawatt di oggi ad 8000 GW entro il 2030. Il calcolo dei materiali necessari che bisognerà estrarre dalla terra è presto fatto. E lo si dovrà fare con i vecchi metodi industriali.

Inoltre, molti dei componenti che dovranno essere utilizzati appartengono al gruppo di quei minerali che vanno sotto il nome di “terre rare”.

Alcune di loro portano nomi sconosciuti come i lantanidi, lo scambio, l’ittrio, l’eurobio, il lutezio ecc.

Di altri minerali abbiamo forse già sentito parlare: niobio, tantalio, tungsteno, litio, tellurio, selenio,  indio, gallio.

Oltre a queste, per creare l’elettricità e stoccarla nelle batterie occorrono anche grandi quantità di cobalto, manganese, nickel, stagno, grafite, rame ecc.

Nella maggior parte dei casi, nonostante l’aggettivo (rare) attribuito ad alcune di queste materie, non si tratta di presenze scarse sul nostro pianeta ma sono minerali dispersi all’interno di rocce che devono essere estratte e lavorate.

Che spreco!

Per dare degli esempi: per ottenere un chilo di vanadio bisogna lavorare otto tonnellate di rocce; per un chilo di gallio ne occorrono cinquanta mentre per ottenere il lutezio in eguale quantità bisogna raffinarne ben duecento tonnellate.

Tutte queste lavorazioni si fanno con l’impiego di grandi quantità di acqua e di solventi.

La lavorazione necessaria è così deleteria per l’ambiente circostante che si spiega perché la maggior parte dei Paesi del mondo ha rinunciato ad estrarli, lasciando che sia la Cina ad occuparsi della produzione (e relativa fornitura) di almeno due terzi della domanda mondiale.

Auto elettrica, quanto mi costi

Un altro esempio: in una macchina a propulsione elettrica circa duecento chili di quanto pesa in totale sono indispensabili per il funzionamento della batteria e per la sua protezione.

Si tratta di un quantitativo corrispondente a sei volte quello presente nelle auto tradizionali.

I suddetti minerali non sono usati solo per le centrali elettriche ecc. o per le auto ma sono sempre più fondamentali per il funzionamento di tutti i prodotti elettronici (smartphone, computer ecc.), negli elettrodomestici, nelle pompe di calore e nelle reti di distribuzione dell’elettricità.

Alle complicazioni di quanto sopra si deve aggiungere che per la trasmissione dell’elettricità derivante dagli impianti solari, eolici e dall’idrogeno, le reti di distribuzione oggi esistenti saranno riutilizzabili solo in parte.

Serviranno enormi quantità extra di rame per gli elettrodotti e migliaia di tonnellate di acciaio per le nuove tubature necessarie al trasporto dell’idrogeno.

C’è allora da aspettarsi che il prezzo dei materiali necessari per affrontare in soli trent’anni (questa è l’intenzione della Commissione europea) una così grande trasformazione diventi oggetto di una forte pressione inflattiva dovuta all’enorme quantità di domanda, ristretta su tempi relativamente brevi in relazione alle capacità dei rifornimenti.

In altre parole, è molto probabile che i prezzi schizzeranno alle stelle, causando una nuova e lunga inflazione anche su tutti i prodotti a valle.

Al nuovo ingente (e tuttavia necessario) sfruttamento delle risorse naturali per procedere verso la “transizione verde” vanno aggiunte le conseguenze socio-economiche all’interno delle nostre società. L’Europa (così come- forse- gli Stati Uniti) si è data l’obiettivo di passare ai nuovi sistemi entro il 2035 e completare il processo entro il 2050, mentre la Cina ha dichiarato che raggiungerà il picco delle proprie emissioni di CO2 solo nel 2030 e raggiungerà l’obiettivo finale non prima del 2060. Per l’India il passaggio richiederà ancora più tempo.

È allora evidente che, negli anni che faranno la differenza, si creerà un divario crescente nei costi di produzione industriali tra i due mondi e certo non a vantaggio delle imprese europee. Con conseguenti crisi che colpiranno molti lavoratori e molte aziende.

Dalla padella alla brace

Sotto l’aspetto politico va anche aggiunto che, pur riuscendo a liberarci dall’oligopolio dei produttori di gas e petrolio, ci metteremmo, noi europei, totalmente nelle mani dei nostri nuovi fornitori di minerali rari e materie prime.

Secondo Larry Fink amministratore di Blackrock (un grande fondo di investimenti che sta già facendo profitti di milioni di dollari proprio sulla “transizione Verde”): “Se la nostra unica soluzione sarà creare un mondo green avremo un’inflazione ancora più grande perché non abbiamo ancora tutte le tecnologie. A un certo punto diventerà una questione politica: accetteremo una maggiore inflazione per accelerare la trasformazione energetica?”

La risposta dovremmo chiederla a tutti quelli che dovranno sostituire le loro caldaie per il riscaldamento, tuttora a gas o gasolio, con pompe di calore azionate dall’energia elettrica da fonti rinnovabili.

E anche a tutti quegli automobilisti che dovranno rottamare i loro veicoli a benzina, a gasolio o ibridi per sostituirli con autovetture solo elettriche che però, con la tecnologia attuale, non consentiranno loro di andare da Milano a Roma senza fermarsi qualche ora per ricaricare le batterie.

Il mondo verde del futuro è molto bello e desiderabile e, poiché tutti i grandi del mondo lo vogliono, non sarò certo io a poterlo ostacolare.

Tuttavia, sarebbe bene che i vari ambientalisti, esultanti come lo siamo noi, si rendano conto che nella vita nulla è gratuito e che ogni paradiso presuppone anche un proprio inferno.

Va bene comunque?

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