“Se non faccio qualcosa” pensò il giovane Payeng “anche noi uomini saremo destinati a morire come questi serpenti”. Payeng Jadav aveva sedici anni quando una mattina del 1979 fece una scoperta che lo turbò molto. Decine di serpenti giacevano morti lungo le rive sabbiose dell’isola Majuli del fiume Brahmaputra. Dopo essere stati trasportati da un’inondazione su questo lembo di terra arida, perché anche deforestato dall’uomo, i rettili erano morti per le temperature torride e la totale assenza di ombra. Quel ragazzino non lo trovava giusto e sentiva di dover fare qualcosa, ma cosa? Andò a chiedere consiglio agli anziani del villaggio e loro gli risposero che solo una foresta avrebbe potuto contrastare la forza delle alluvioni e l’avanzamento della desertificazione nelle stagioni calde. Gli consigliarono di iniziare dal bambù locale, perché capace di generare forti e profonde radici legnose. Da quel lontano giorno di quarantuno anni fa, Payeng ha piantato fino ad oggi, con la sola forza delle sue nude mani, più di trentamila piante.
Ci troviamo in India, nello stato dell’Assam, nell’estremo est del Paese e la rigogliosa area verde, nota oggi come la foresta di Molai (dal soprannome di Payeng) si estende per oltre cinquecentocinquanta ettari (più di ottocento campi da calcio). Così ricoperta di alberi, l’isola è “rinata”, dando riparo a migliaia di specie animali differenti: insetti, rettili, volatili e a piccoli e grandi mammiferi selvatici come lepri, cinghiali, cervi, bufali, rinoceronti, elefanti e persino scimmie e la braccatissima Tigre del Bengala.
Il Governo Indiano venne a conoscenza della foresta di Molai solo nel 2008, quando venne individuato un branco di circa 100 elefanti selvatici che si erano allontanati dalla foresta per qualche giorno. Da allora Payeng non ha avuto più una vita tanto semplice. Premi, riconoscimenti e decine di giornalisti che ogni anno lo raggiungono per intervistarlo. Qualcuno gli ha anche chiesto di andare con loro in Europa o in America ma Payeng ha sempre risposto che c’era ancora tanto da fare perché “Finché la natura sopravvive sull’Isola di Majuli, anch’io sopravvivo!”. Negli anni Payeng è diventato anche un bravo fotografo, raccogliendo migliaia di foto di specie vegetali ed animali selvatici che sono preziosi documenti di studio presso diversi istituiti di ricerca sparsi per il Mondo. Un giornalista americano una volta gli chiese: “Da dove nasce tutto questo amore per la Natura?”. Lui gli rispose “Dalla mia educazione, specialmente quella di mia nonna. Vengo da una famiglia povera, che non ha studiato ma che ha potuto vivere solo grazie al fiume e alla foresta”. E, ad un altro intervistatore che gli chiese: “Come hai fatto a fare tutto questo da solo?”, lui, con il suo bellissimo sorriso, rispose: “Non ho fatto tutto da solo. Pianta uno o due alberi. Loro faranno i semi. Il vento sa come piantarli, qui gli uccelli sanno tutti come piantarli, anche le vacche lo sanno, anche gli elefanti lo sanno, anche il fiume Brahmaputra lo sa. L’intero ecosistema lo sa”.
Solo noi non lo sappiamo?
PICCOLO PROMEMORIA
Circa 350 milioni di nativi vivono vicino o all’interno delle poche foreste ancora esistenti sul Pianeta. Foreste che da sole ospitano l’80% della biodiversità terrestre. Preservare il loro ambiente è fondamentale per tutte le specie, compresi gli esseri umani. Chiunque può fare la differenza, piantando anche un solo albero quando può. Payeng docet.