Costume e Società

L’agricoltura italiana si rinnova con le startup

Si va verso l'agricoltura 4.0, ma il processo di digitalizzazione è ancora lento tra le imprese tradizionali.

Se a livello mondiale siamo nell’era dell’Agricoltura 4.0, in Italia bisogna fare i conti con la difficoltà nel tenere il passo, soprattutto a livello tecnologico e digitale.
Dai sensori nei campi ai droni per la logistica controllata, dallo smart packaging alle etichette intelligenti, sono oltre 300 le applicazioni di Smart AgriFood diffuse nel nostro paese, dalla fase di produzione a quelle di distribuzione e consumo. Queste tecnologie stanno contribuendo a migliorare la competitività del settore agroalimentare italiano, garantendo la qualità dei prodotti e l’ottimizzazione del processo produttivo.

Nonostante questo processo di modernizzazione, l’Agricoltura 4.0 in Italia è un mercato da appena 100 milioni di euro, il 2,5% di quello globale. I benefici in termini di riduzione dei costi e l’aumento della qualità e della resa del raccolto non bastano e la diffusione di queste soluzioni è ancora limitata: meno dell’1% della superficie coltivata complessiva è gestito con questi sistemi.
Questi sono i dati che emergono dalla ricerca dell’Osservatorio Smart AgriFood della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) e del Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia presentati al convegno “Coltiva dati. Raccogli valore. La trasformazione digitale dell’agroalimentare”.

La spinta innovativa più forte verso la trasformazione digitale del settore agroalimentare arriva dalle imprese di nuova formazione, che potremmo definire “native digitali”, con 481 startup internazionali Smart AgriFood nate dal 2011 ad oggi, di cui 60 (il 12%) sono italiane.
Le tecnologie dell’agricoltura di precisione costituiscono l’Agricoltura 4.0 che, attraverso l’analisi di fattori ambientali e climatici, consentono di stabilire il fabbisogno irriguo e nutritivo delle coltivazioni, prevenire patologie, identificare infestanti prima che proliferino. Tutto questo al fine di compiere interventi mirati per risparmiare di tempo e risorse, incidendo così sulla qualità dei prodotti e migliorando la resa delle coltivazioni e le condizioni di lavoro.

In Italia, il 51% delle aziende ha utilizzato le tecnologie digitali per valorizzare la qualità di origine, in particolare nel caso dei prodotti ad alto valore aggiunto (ad es. vino, cacao, caffè); ben il 46% si è servito del digitale per migliorare la sicurezza alimentare.
“L’innovazione digitale nell’agroalimentare – afferma Filippo Renga, Condirettore dell’Osservatorio Smart AgriFood – può garantire competitività ad uno dei settori chiave per l’economia italiana, che contribuisce per oltre l’11% del Pil e per il 9% sull’export. Lo Smart AgriFood da un lato può ridurre i costi di realizzazione di prodotti di alta qualità, dall’altro far crescere i ricavi grazie ad una maggiore riconoscibilità o garanzia”.

Rimane dunque evidente come l’adozione dell’Agricoltura 4.0 in Italia incontri diversi ostacoli. Innanzitutto una barriera culturale nei confronti dell’innovazione e una limitata consapevolezza dei benefici, ma anche una certa immaturità da parte degli attori dell’offerta, che solo oggi si stanno strutturando per offrire soluzioni effettivamente in linea con i fabbisogni delle aziende, abituate a intrattenere relazioni con pochissime e consolidate aziende. “Perché le tecnologie digitali dispieghino completamente il proprio potenziale però occorre che si realizzino alcune condizioni – avverte Andrea Bacchetti, Condirettore dell’Osservatorio Smart AgriFood -. Innanzitutto, è necessaria l’estensione della banda larga ed extra-larga anche alle zone rurali per garantire l’interconnessione della filiera. Poi, servono sensibilità, competenza e propensione all’investimento da parte delle imprese, un fatto non scontato, considerando le esigue dimensioni medie”.

Rimane positivo il panorama delle startup Smart AgriFood. Escludendo quelle che si occupano di e-commerce, sono 182 le startup internazionali che operano nella filiera e hanno raccolto finanziamenti per 637 milioni di dollari. Fra queste, ben l’11% è italiano (di cui la maggior parte nei settori ortofrutticolo, vitivinicolo e ceralicolo), a dimostrazione che il nostro paesenon ha affatto un ruolo marginale, anche se il finanziamento medio ricevuto (0,7 milioni di dollari, 14 milioni complessivi) è circa sei volte inferiore alla media mondiale.

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