Sul ring le regole sono precise: si è lì per dare e prendere cazzotti.
Fanno male e, dunque, è bene stare in guardia e cercare di colpire quanto più duramente possibile. Questo è l’unico modo per finire il combattimento, se non vincendo quanto meno rimanendo dignitosamente in piedi.
Immagino, ora, cosa succede ad un pugile che, già un po’ suonato, rivolgendosi al suo angolo, in cerca di aiuto, si sente dire: “Porgi l’altra guancia…porgi l’altra guancia”.
Sta accasciato sul seggiolino, gonfio e a gambe aperte, in debito di ossigeno.
I secondi si affannano a riparare i danni, compresi quelli all’una e all’altra guancia.
A loro non resta che gettare la spugna e salvare il salvabile.
È tecnicamente una sconfitta per abbandono.
Il giudice ora alza il braccio del vincitore: è un russo che sa giocare sporco, un tre quarti muscoloso e ben allenato. Per i suoi tifosi è un Dio ma, come i suoi colleghi dell’Olimpo, non è perfetto ed ha un piccolo difetto: ama vincere facile, per abbandono, appunto.