Arriva il piano per la difesa Ue, via al fondo comune
La guerra ucraina ha cambiato radicalmente i piani europei per l’autonomia strategica: quello che era considerato un ambizioso obiettivo sta diventando via via una necessità. Mercoledì prossimo, facendo seguito alle conclusioni del vertice di Versailles dello scorso marzo, la Commissione presenterà il piano Defend Eu per correre ai ripari su quelle che sono ritenute mancanze e sovrapposizioni nelle strategie di difesa dei Paesi membri. Il piano includerà un fondo ad hoc, non computato nel budget ordinario dell’Unione, per dare il là a investimenti europei nel campo della difesa e, soprattutto, per istituire degli appalti comuni nell’acquisto di armi.
Di fronte alla minaccia russa, Palazzo Berlaymont ha voluto fare una profonda ricognizione dello status quo nel settore. E ha riscontrato “gravi carenze” che includono limiti nelle difese aeree di fronte ad attacchi con missili, droni, aerei, navi o carri armati, problemi logistici e di connettività nonché scarsità di munizioni. I motivi sarebbero soprattutto due: da un lato il progressivo depauperamento del Fondo europeo per la difesa e dall’altro lo scarso coordinamento tra gli Stati membri, punto quest’ultimo che più volte è stato rimarcato dall’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell. Uno degli obiettivi del Defend Eu è proprio quello di “deframmentizzare” la spesa militare dei 27 Paesi membri. Il piano chiaramente non prevede alcun smantellamento degli eserciti nazionali. E anche il contributo per il fondo comune, secondo quanto risulta dalle bozze che circolano in queste ore, sarà su base volontaria. La procedura perché il piano sia davvero in vigore non sarà breve e necessiterà dell’ok unanime dei 27. Martedì, in occasione della riunione dei ministri della Difesa Ue, il commissario al Mercato Interno Thierry Breton anticiperà l’iniziativa che, certamente, sarà sul tavolo del summit straordinario dei leader del 30 e 31 maggio.
La settimana prossima potrebbe anche essere quella finalmente decisiva per il via libera al sesto pacchetto di sanzioni. La questione resta complessa, l’Ungheria non arretra e una soluzione non appare “vicina” hanno spiegato fonti europee dicendosi tuttavia ottimiste per i giorni che verranno. Bruxelles resta determinata a mantenere i 27 uniti e a non spacchettare le sanzioni dilazionando l’embargo al petrolio. Una diversa exit strategy sarebbe vista come “un fallimento”, ha spiegato un alto funzionario europeo. Ma per superare lo scoglio dei magiari (e le perplessità di altri Paesi orientali) servirà, per lo meno, venire incontro a Budapest sulle richieste dei fondi necessari per lo stop al greggio russo: circa 700 milioni che l’Ue potrebbe inserire nel piano RepPowerEu. Non è detto che basti. E l’impressione è che Viktor Orban voglia mantenere il punto fino al vertice dei leader.