Brexit: dimissioni della May?
Ne parlano i giornali e molti parlamentari, anche del suo partito
Oggi si vota nel Regno Unito per il Parlamento europeo. In Italia voteremo domenica 26 maggio. E a Londra, anziché parlare di candidati da eleggere, si parla della Primo ministro Theresa May che, a detta di molti, dovrebbe dimettersi per non essere riuscita a presentare proposte sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea accettabili da una maggioranza di parlamentari. Per ben tre volte il Parlamento ha respinto il suo accordo con l’UE. Anche il tentativo di trovare un’intesa con i Laburisti, dopo sei settimane di negoziati, non è andato in porto. Jeremy Corbyn, il leader dei Laburisti, ha comunicato in una lettera l’impossibilità per il suo partito di accettare i compromessi offerti dalla May, soprattutto quelli legati all’Unione doganale: i Laburisti vorrebbero rimanerci, mentre la May sarebbe di parere contrario. Mercoledì 22 maggio, la May ha presentato una nuova versione dell’accordo, da sottoporre al Parlamento. Per lei e per la maggioranza dei Tory un’uscita senza accordo sarebbe una catastrofe da scongiurare. Nel caso di un ulteriore rifiuto da parte del Parlamento, come è prevedibile, la May dovrebbe lasciare il premierato e nello stesso tempo la presidenza del partito conservatore (nel sistema britannico le due funzioni sono unificate). A chiederlo è anche una buona parte del suo partito, che si dà da fare, senza per ora aver trovato una soluzione, per organizzare una sfiducia alla sua presidenza. I più attivi in questo genere d’esercizio sono l’ex ministro degli esteri e ex sindaco di Londra Boris Johnson e Andrea Leadsom, leader della Camera dei Comuni e ministra del governo che si occupava dei lavori parlamentari, dimessasi ieri in aperta polemica con la May. La situazione, quindi, è molto intricata e diversi giornali britannici affermano che May si è rifiutata, nelle ultime ore, di incontrare alcuni dei suoi ministri, isolandosi con i suoi collaboratori per trovare una strategia tendente a superare questi giorni difficili. Ma il voto di oggi indebolirà ulteriormente la May, poiché i Conservatori otterranno probabilmente il peggior risultato della loro storia, finendo per essere il quinto partito per voti ricevuti. Anche i Laburisti sono in difficoltà nei sondaggi e hanno già detto che non voteranno nemmeno l’ultima versione ammorbidita dell’accordo su Brexit della May, condannandolo già, di fatto, a una bocciatura in Parlamento. Se l’opposizione laburista non risulterà beneficiata dal voto di oggi, chi al suo posto trarrà vantaggio dalla sconfitta dei Conservatori? I sondaggi prevedono un exploit di Nigel Farage, leader del Brexit Party, con una previsione che arriva al 37% , mentre i Conservatori sono dati al 12%. Una vera catastrofe. A far fronte agli antieuropei rimarrebbe il partito dei Lib-dems di Vince Cable, sostenuto anche da vecchie personalità europeiste che ritengono il suo partito come l’unico vero ostacolo alla Brexit. I numeri dei sondaggi però non lasciano sperare in una affermazione tale da permettere un’inversione di tendenza alla Brexit. Occorrerebbe un secondo referendum per annullare il primo, ma nonostante siano diverse le voci che l’hanno auspicato, non si può prevedere quando e come potrebbe aver luogo. Un’uscita dall’UE senza accordo è incombente, come non è da scartare l’ipotesi di elezioni interne anticipate con le eventuali dimissioni della May. Situazione difficile ed intricata, dicevamo. “Il Foglio” afferma che sembra avverarsi la profezia dell’ex premier Tony Blair, il quale dichiarava che l’uscita senza accordo della Gran Bretagna darà vita “a una rivoluzione silenziosa, spazzando via sia i conservatori che i laburisti”. IL no deal non c’è ancora stato, ma gli effetti politici sono quelli descritti da Blair. Paradossalmente le elezioni europee di oggi si sono trasformate in una riedizione del referendum del 2016, con due blocchi contrapposti, uno di fronte all’altro, distanziati da pochi punti percentuali. Il bipolarismo Conservatori – Laburisti si è trasformato in proBrexit – noBrexit, cioè in “sì all’Europa”- “no all’Europa”. Non c’è che dire. La rivoluzione silenziosa di Blair si sta avverando e l’unificazione europea rappresenta l’oggetto del contendere. Non più valori tradizionali (Corona, impero, City finanziaria) da conservare, contro il socialismo democratico detto laburismo, ma necessità di “stare insieme” nell’UE, contro l’isolamento e il sovranismo solitario. In altri termini: sovranismo europeo contro la globalizzazione senza regole. Saremo forti se uniti contro le sue sfide, o saremo deboli se rimaniamo soli. Sapremo domani l’esito del voto e potremmo dedurne ipotesi per la sorte della Brexit e della May.