E se il vero problema fosse questa forma di Europa?
Quale Unione Europea si potrebbe immaginare operante all’interno di una crisi economica e sanitaria che si ripete ormai da oltre due anni e soprattutto quali obiettivi dovrebbe porsi?
Innanzitutto una vicinanza alla popolazione europea si potrebbe dimostrare in molte forme, la prima delle quali sicuramente può venire rappresentata dalla attivazione in ogni forma di iniziative finalizzate al ripristino di una “normalità” (concetto di difficile attuazione dopo due anni di crisi senza precedenti) e quindi soprassedendo e ponendo in secondo piano le iniziative di carattere ideologico dall’impatto incerto.
Non va dimenticato, infatti, come le economie europee occidentali si trovino ancora all’interno di un ennesimo periodo di fortissima difficoltà economica e sociale legata alla quarta ondata di covid, quindi sostanzialmente alle soglie del terzo anno di pandemia, in una estrema difficoltà anche per programmare non solo i piani di sviluppo per le prossime stagioni ma anche organizzare la semplice filiera per gli ordini già acquisiti a causa della aspettativa di un forte aumento dell’inflazione (al netto del settore energetico oltre il 7%) al quale aggiungere la prossima impennata delle bollette da gennaio, calcolate con un ulteriore +40-50%.
Con simile condizioni emerge in modo cristallino come il prossimo ciclo economico sarà caratterizzato da una inflazione stabile, a differenza di tutte le previsioni della Bce, a meno che non venga adottata una politica monetaria repressiva il cui costo andrebbe a cadere sulle fasce più deboli della popolazione.
In questo difficile contesto ecco come l’Unione Europea dimostra ancora una volta il proprio distacco assoluto dalla realtà circostante, e perciò dalle problematiche reali, ed attraverso l’ennesimo atto di politica autoreferenziale si pone come unico obiettivo la semplice certificazione della propria esistenza in vita.
Esattamente come precedentemente per il settore automotive, al quale sono stati imposti degli step tecnologici assolutamente insostenibili mentre contemporaneamente le autorità politiche delle altre macroaree economiche prendono tempo ed indicano la transizione verso una motricità elettrica come un “auspicio” ma non certo un obbligo (Usa e Cina), la Commissione Europea impone adesso ulteriori aggravi normativi anche per il settore edilizio in relazione al divieto di vendita o affitto se non in regola con i nuovi protocolli made in Ue (https://www.ilmessaggero.it/economia/news/vendita_affitto_case_energia_come_cambiare_classe_g_c-6373229.html).
Ennesima forma di integralismo e di furore ambientalista assolutamente incompatibile con un percorso complesso di ricerca di una reale sintesi tra la ricerca di un sempre minore impatto ambientale per le attività economiche e la consapevolezza di come non esista l’impatto zero se non come espressione ideologica priva di alcun riscontro.
In altre parole, continua la genesi di obblighi e vincoli per il solo mercato interno i quali hanno l’unico deleterio effetto di mettere in ulteriore difficoltà un’economia già in ginocchio e di rendere ancora una volta il settore della imprese europee, soprattutto industriali, meno competitive nell’ambito della concorrenza del mercato globale. È molto difficile in questo contesto restare indifferenti di fronte ad un tale ennesimo delirio ideologico-normativo, espressione di contenuti
pseudoambientalisti e basato sulla applicazione dell’ideologia ambientalista priva di competenza
(https://www.ilpattosociale.it/…/linquinamento-ideologico/).
Criticare l’Unione Europea non significa diventare automaticamente sovranisti o isolazionisti, come sempre vengono bollate le posizioni differenti della genuflessione complessiva del pensiero unico di fronte all’azione della dirigenza Europea. Mai come ora le osservazioni rispondono ad una necessità di revisione complessiva delle strategie politiche ed economiche poste in essere dalla dirigenza Europea negli ultimi decenni e conseguentemente alla priorità di passare ad una elaborazione di una nuova classifica delle priorità che veda al primo posto (1°) la tutela delle realtà economiche e dei posti di lavoro nella macroarea Europea come sintesi di know how industriale ed economico ed espressione di investimenti e crescita professionale e culturale.
Risulta alquanto amaro, invece, verificare come da anni ormai l’istituzione Europea non favorisca più i singoli stati e tantomeno il sistema economico europeo complessivo in nome della applicazione scolastica ed infantile del principio della pura concorrenza con le altre macro-aree come Cina, India e Stati Uniti.
Viceversa l’Europa viene vissuta o semplicemente intesa dalla propria dirigenza e da buona parte del mondo politico come la zona di applicazione di un principio sempre più legato ad ideologie ampiamente superate che e risultano, di conseguenza, espressione di obsolete professionalità immerse in una salsa ideologica assolutamente ridicole nel contesto contemporaneo.
Mai come ora si sente il bisogno di una nuova Europa espressione di una rinnovata politica
e soprattutto di competenze aggiornate ed espressione della realtà odierne in modo da assicurare un futuro economico di sviluppo per le prossime generazioni europee.