Johnson e Hunt: i due candidati finali alla leadership del Regno Unito
Dei dieci candidati che si erano proposti per la leadership nel partito conservatore britannico oggi ne restano due: l’ex sindaco di Londra e hard Brexiter Boris Johnson e l’attuale ministro degli Esteri Jeremy Hunt. La procedura delle elezioni per giungere ai due nomi del ballottaggio finale è terminata venerdì scorso, con un colpo disonesto e sleale che ha messo fuori gioco per un paio di voti Michael Gove, considerato fino a quel momento il candidato numero due. Gli amici di Johnson infatti avrebbero portato qualche voto a Hunt, facendolo prevalere su Gove, ritenendo quest’ultimo poco malleabile e non coincidente con la politica di Johnson. Gove, infatti, che è un ex suo grande amico, ha già fatto capire a tutti che se Boris verrà eletto primo ministro sarà sua compito perseguitarlo. Se questi sono gli obiettivi dei colleghi del futuro primo ministro non c’è da meravigliarsi che il partito conservatore sia sceso alla soglia del 9% dei voti e non ci si dovrà meravigliare neppure se il popolo britannico continuerà a dimenticarsi di lui. Il nome del vincitore si conoscerà soltanto dopo il 22 luglio, quando i 140 mila (alcuni giornali dicono 160 mila) iscritti al partito conservatore avranno votato. Gli osservatori puntano su Boris Johnson, ex sindaco di Londra, ex ministro del Esteri, tra i maggiori oppositori di Theresa May, uno dei personaggi più controversi della politica inglese. Chi lo ammira, apprezza il suo humour dissacrante, il suo carisma e le sue conoscenze ottenute anche studiando nelle migliori scuole dei Regno Unito. Chi lo disprezza, condanna le sue gaffe, il suo atteggiamento elitario, i suoi commenti razzisti e le sue bugie, come quando, durante la campagna elettorale del 2016 ha ripetuto che il Regno Unito inviava ogni settimana all’Unione europea 350 milioni di sterline, un’affermazione falsa per la quale è stato costretto a presentarsi in tribunale con l’accusa di cattiva condotta. Ma per molti ammiratori queste tendenze negative sono bazzecole, se continuano a votarlo, come lo ha votato fino ad ora anche la maggioranza dei parlamentari del suo partito. Non si lasciano impressionare nemmeno dalla notizia circolata sabato, di suoi vicini di casa che hanno chiamato la polizia perché sentivano urla provenire dal suo appartamento e rumore di stoviglie rotte. Un candidato alla guida del governo che malmena la donna con la quale convive non è una notizia di tutti i giorni, così come non è normale che lo stesso candidato non faccia sapere quanti figli ha. Quattro sono nati dal primo matrimonio, ma ne circolano altri due, non confermati dall’interessato, che si giustifica con il diritto alla privacy, nati al di fuori del matrimonio. Diciamo che è un personaggio un po’ chiacchierato, insomma! Nato a New York nel giugno del 1964 da genitori inglesi, trascorre l’infanzia negli Usa e si trasferisce in seguito, prima a Bruxelles e poi in Inghilterra a Eton, uno dei college più rinomati al mondo, frequentato anche dai membri della famiglia reale e dall’aristocrazia. Si laurea a Oxford e inizia a lavorare al Times. Fu licenziato nel 1988 perché redasse una notizia scorretta e assunto al Daily Telegraph, divenendone corrispondente da Bruxelles, dove si face notare per i suoi articoli fortemente euroscettici e critici nei confronti dell’allora presidente della Commissione europea Jacques Delors. Iniziò la carriera politica nel 2001, nel 2008 divenne sindaco di Londra e nel 2016 ministro degli Esteri tra le perplessità degli osservatori e degli stessi suoi colleghi di partito. Si è dimesso nel 2018 in segno di protesta contro il piano della Brexit presentato da Theresa May. Da allora è diventato uno degli esponenti più accaniti della hard Brexit, continuando ad attaccare le premier e collezionando figuracce. L’ultima si riferisce a qualche giorno fa, quando su internet è circolata la foto della sua automobile piena di cartoni di cibo vuoti, abiti sporchi, briciole di cibo e fogli sparsi. Ciò nonostante, nelle votazioni per la leadership ha sempre avuto la maggioranza dei voti rispetto ai suoi colleghi, non chiacchierati, senza scandali.
Il secondo candidato, Jeremy Hunt, attuale ministro degli Affari Esteri, che ha sostituito il dimissionario Boris Johnson, è nato nel 1966. Sa parlare giapponese, ha una moglie cinese di dieci anni più giovane, una laurea a Oxford e prima di entrare in politica, nel 2005, ha fatto l’imprenditore e l’insegnante di lingua inglese all’estero. Nel 2001 venne nominato ministro della Cultura, dello Sport e dei Media, dopo essere stato ministro ombra per la disabilità. Divenne famoso tra gli sportivi perché raddoppiò il budget per la Olimpiadi di Londra del 2012, passando da 40 a 81 milioni di sterline. Nel settembre dello stesso anno venne nominato ministro della Sanità e rimase in carica fino al 2018, quando successe a Johnson agli Esteri. Non ha mai avuto grandi scandali, ma nel 2009 fu costretto restituire 9500 sterline dopo essere stato accusato di aver violato alcune norme sulle spese e i fondi dei politici. Fu in seguito coinvolto nell’inchiesta sulle pratiche scorrette adottate da alcuni media, per i suoi contatti troppo ravvicinati con la famiglia Murdoch. Infine venne molto criticato quando disse che i turni serali e di sabato dei giovani medici non sarebbero più stati considerati straordinari. E i medici scioperarono contro questa decisione. Hunt è considerato più moderato di Johnson, ma ha avuto una espressione molto infelice quando ha dichiarato che l’UE ha adottato tattiche simili a quelle della Russia sovietica durante i negoziati sulla Brexit. Molti politici si sono infuriati e Hunt fu costretto a ritrattare e a scusarsi. Vorrebbe una soft Brexit, ma importante per lui sarebbe il raggiungimento di un buon accordo, piuttosto che uscire il prima possibile, come invece vorrebbe Johnson, che si dice pronto a un no deal. Sarà che la politica europea è un po’ in crisi dappertutto, sarà che anche la democrazia britannica, madre di tutte le democrazie dopo la Grecia, è in crisi, sarà che l’attualità non offre più leader “come quelli di una volta”, sarà come voi giudicate i politici di oggi, ma a noi sembra che le due candidature suscettibili di offrire una leadership al Regno Unito siano molto al di sotto di ciò che il Regno Unito meriterebbe per il contributo da lui offerto alla civiltà occidentale. Ma forse ciò si spiega anche con il declino di quest’ultima.