Le prime nomine al Parlamento europeo
Continuano le votazioni per il premierato britannico
Le riunioni dei nuovi gruppi politici eletti al Parlamento europeo cominciano a dare i primi frutti. Quello che era il gruppo liberale ALDE, ora trasformatosi in gruppo “Renew Europe” con l’arrivo dei macroniani francesi, ha eletto il suo nuovo presidente nella persona del rumeno Dacian Ciolos, già premier a Bucarest e commissario europeo all’agricoltura. La sua nomina ha però diviso il gruppo. Da un lato i suoi sostenitori, tra cui Macron, dall’altro tutti coloro che non dimenticano le sue vecchie posizioni del 2016 contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso e a sostegno della famiglia tradizionale. I malumori riguardanti la nomina del rumeno si concentrerebbero soprattutto nell’ala più legata ai valori liberali dell’ex ALDE, che avrebbero preferito la nomina dello svedese Frederick Federley o dell’olandese Sophie in’t Veld. Che la preferenza per la famiglia tradizionale rappresenti un discrimine, e sostanzialmente un ostacolo per la nomina a responsabilità politiche europee, la dice lunga sulla deriva culturale a cui si è giunti in Europa e addirittura in seno ad un gruppo politico detto liberale fino a ieri, se i suoi dirigenti non possono essere liberi di pensarla come vogliono a proposito di famiglia. Oggi quell’aggettivo qualificativo è stato tolto dalla denominazione del gruppo, pare per decisione di Macron, ma quell’eliminazione potrebbe voler dire “o la pensate così, o potete rinunciare a stare con noi”. Con buona pace della libertà di pensiero!
Anche il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, secondo gruppo con 153 seggi, ha un nuovo presidente. Si tratta dell’eurodeputata spagnola Iratxe Garcia Perez, che dirigerà il gruppo S&D nella prossima legislatura. E’ la seconda donna a presiederlo in 20 anni, dopo l’ex eurodeputata Pauline Green. E’ stata eletta per acclamazione su proposta del capo delegazione italiano David Sassoli. “Siamo tutti d’accordo – ha dichiarato la nuova presidente nel suo discorso inaugurale – che dobbiamo fornire ai cittadini risposte solide e innovative in questo momento cruciale per il progetto europeo e per la nostra famiglia politica, la socialdemocrazia europea”. Per la nuova eletta, l’Europa deve riacquistare la sua anima sociale e porre le persone e la lotta contro le disuguaglianze al centro della sua azione politica, “basata su standard sociali che ci portano avanti. Siamo in grado di guidare i cambiamenti necessari – ha continuato la Garcia Perez – per continuare a servire i nostri cittadini, garantire standard sociali equi, guidare la lotta contro il cambiamento climatico, migliorare i diritti del lavoro in un’economia sostenibile e essere un faro di libertà e democrazia nel mondo”.
Ieri sera intanto, Boris Johnson, favorito nella corsa per diventare premier britannico e leader del partito conservatore, ha partecipato per la prima volta ad un dibattito con i suoi quattro contendenti conservatori. L’ex sindaco di Londra, in grande vantaggio nelle “primarie” dei Tory, non ha commesso gaffe, come gli succede spesso, ma nello stesso tempo non ha brillato per le sue idee e per le convinzioni espresse. L’ultima trovata di Johnson è che l’accordo sulla Brexit di Theresa May con l’UE (respinto per ben tre volte dal Parlamento) in realtà, secondo lui, può essere rinegoziato spostando le discussioni sull’annoso confine irlandese nel periodo di transizione, cioè nelle trattative sulle future relazioni che si dovrebbero tenere dopo l’uscita di Londra dall’UE. Forse Johnson dimentica, o fa finta di dimenticare, che Bruxelles e i 27 Paesi membri dell’UE, non accetteranno mai questo punto, come hanno già detto e fatto capire molte volte in passato. Il futuro dell’Irlanda va negoziato prima, non dopo. Secondo Johnson, poi, c’è un margine di manovra con l’UE prima del 31ottobre, la nuova data limite della Brexit. Ma anche questo è un wishful thinking: pare davvero improbabile che dopo due anni di trattative a vuoto, ora improvvisamente si trovi una soluzione, soprattutto con un euroscettico come Johnson, soluzione mai trovata con una May abbastanza moderata. Tutti pensano però che la sua strategia porti ad un’uscita no deal, con tutte le conseguenze che si temono, soprattutto sull’economia e sul confine irlandese. Il dibattito non è stato chiaro e non ha presentato proposte di soluzioni convincenti, diverse da quelle conosciute all’epoca della May. Pare insomma che i politici conservatori non abbiano fatto una gran bella figura. La novità è rappresentata da Rory Stewart, il più europeista di tutti, che al secondo turno a Westminster è balzato al quarto posto con 37 voti, dietro ai 41 di Gove, ai 46 di Hunt e agli inarrivabili 126 di Johnson. Stewart è però sembrato un candidato che difficilmente arriverà in fondo. Johnson insomma pare non avere rivali e ciò per il futuro del Regno Unito e dell’Europa potrebbe essere una cattiva notizia: con lui il NO DEAL è sempre più probabile.