Europa

L’Unione europea firma l’accordo per l’uscita di Londra

Dopo due anni e mezzo dal referendum sulla Brexit, sabato 24 novembre il Consiglio europeo (cioè i 27 capi di Stato o di governo dell’Unione europea ) ha firmato l’accordo con Londra per la sua uscita. L’accordo era stato approvato dal governo di Theresa May il 13 novembre scorso, ma il giorno dopo quattro ministri si sono dimessi perché in disaccordo con alcuni punti del documento. L’Unione europea, com’era previsto, ha firmato, non ha opposto difficoltà e l’unanimità ha sanzionato il faticoso e contrastato lavoro dei negoziatori. Ora manca solo l’approvazione del Parlamento europeo e del Parlamento inglese, ma l’ironia della sorte potrebbe giocare un brutto scherzo e far saltare l’accordo proprio con un voto contrario della Camera dei Comuni. Ai voti dell’opposizione, infatti, potrebbero aggiungersi i dieci del partito nord irlandese, quelli degli scozzesi del Partito Nazionalista (Snp) e  di un consistente gruppo di conservatori (si parla di una ottantina), i quali ritengono che l’accordo concluso da May sia il peggiore possibile, in quanto disegnerebbe un quadro in cui Londra rimarrebbe soggetta alle leggi europee, ma senza più alcuna possibilità di influire sui processi decisionali. Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha sottolineato che l’accordo è il migliore possibile, mentre la cancelliera Angela Merkel si è detta triste per la tragica decisione di un Paese che lascia l’Unione dopo 45 anni. La premier Theresa May ha affermato che questo è un momento di fare un passo avanti e che lei non condivide la tristezza della collega Merkel. L’ironia consisterebbe nel fatto che l’Europa ha firmato per la Brexit, mentre i legislatori inglesi la respingerebbero. E l’uscita senza accordo complicherebbe ancor di più il dopo Brexit, cioè le relazioni commerciali del RU, e non solo, con l’UE. E’ indubbio che la premier britannica ha la grande responsabilità di affrontare un passaggio molto pericoloso per il suo governo e per il destino del suo Paese. Ha dimostrato fino ad ora carattere e volontà. In una lettera aperta agli inglesi, poco prima della riunione con il Consiglio europeo, ha promesso di mettere anima e cuore per cercare di vincere la battaglia in Parlamento e di essere convinta con ogni fibra del essere, che l’accordo è giusto. E se il Parlamento non l’ascoltasse? Che succederebbe? Darebbe le dimissioni aggiungendo la crisi di governo a quella della Brexit? Non sarebbero nemmeno escluse le elezioni anticipate.

Ma cosa prevede l’accordo? Sono molti i punti che lo compongono. Tra i principali ricordiamo:

  • i due testi oggetto dell’intesa. Il primo, di 585 pagine, è l’accordo sul ritiro, giuridicamente vincolante, il secondo, di 26 pagine, è una dichiarazione politica che traccia a grandi linee i punti principali del futuro rapporto Ue-Ru, che non ha forza legale. Per entrare in vigore l’accordo necessita ancora della ratifica dei due Parlamenti, quello inglese e quello europeo.
  • L’Unione doganale tra Regno Unito (Irlanda del Nord compresa) e l’Unione europea nel periodo di transizione, cioè fino al dicembre 2020.
  • Il periodo di transizione, dal 29 marzo 2019 fino al dicembre 2020, per consentire di arrivare ad un’intesa commerciale futura definitiva.
  • Una clausola di salvaguardia, detta “backstop” per evitare un confine fisico tra le due parti dell’isola: il Nord Irlanda e la Repubblica d’Irlanda.
  • Il ritorno della sovranità con l’entrata in vigore della legge di ritiro dalla UE introdotta dal governo inglese nel giugno del 2018, per mettere fine, dal 29 marzo 2019, al primato della legislazione europea su quella britannica.
  • La corte europea, che rimane attiva durante la transizione. Per il dopo, sarà necessario trovare un nuovo meccanismo per dirimere le liti.
  • La questione relativa a Gibilterra è stata esclusa dai negoziati a richiesta della Spagna, che ritiene d’avere il diritto di approvare ogni futura intesa che riguarderà il territorio ora considerato d’Oltremare del Regno Unito, su cui Madrid spera di strappare una co-sovranità.
  • Il costo dell’uscita ammonta a 39 miliardi di sterline (circa 44 miliardi di euro) che corrispondono agli impegni presi quando il RU era uno Stato membro.
  • La libera circolazione. Nel rispetto del risultato del referendum del 2016, che comprende la fine della libertà di circolazione delle persone, a partire dal 2021 questa libertà verrà meno. Per risiedere stabilmente nel Regno Unito servirà un apposito permesso.
  • I diritti degli europei già residenti nel RU ( quasi tre milioni) verranno conservati. Vale i reciproco per gli inglesi residenti in Europa (circa un milione e trecento mila). I turisti potranno viaggiare senza problemi con l’esibizione del passaporto.

Ora l’entrata in vigore dell’accordo dipende dal voto che avrà luogo a Westminster in dicembre. Se il voto sarà negativo tutto sarà messo in discussione e nuovi scenari si affacceranno, sull’esito dei quali nessuno per ora è disposto a scommettere.

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La redazione

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