Europa

Niente si muove per la Brexit

Tatticismi e piccolo cabotaggio tra i conservatori e ancor più tra i laburisti

Nessuna strategia credibile emerge dalla situazione creatasi nel Regno Unito dopo il voto contrario del 15 gennaio e il voto a favore della May del giorno dopo. I 432 “no” all’accordo ottenuto con l’UE non sono una bazzecola. Sono 230 voti in più del “sì”, una differenza enorme, che non lascia dubbi sull’atteggiamento del parlamento in ordine alle regole negoziate dalla May con l’UE per normalizzare l’uscita del Regno Unito dalle istituzioni europee. “Queste regole non ci convengono e bisogna cambiarle!” L’hanno detto gli oppositori del governo, ma anche più di un centinaio di deputati facenti parte della maggioranza governativa. Nessuno però ha fatto proposte specifiche di emendamento al testo dell’accordo. C’è quindi il rischio che si arrivi al 29 marzo, giorno previsto per l’uscita, senza nessun accordo. Che fare allora? Il parlamento ha invitato la May a presentare una mozione emendabile entro il 29 gennaio, cioè fra quattro giorni. Ma a che punto è la preparazione di questa nuova mozione? Essa dovrebbe contenere norme per garantire l’assenza di una frontiera fra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda e permettere eventualmente al Regno Unito di usufruire dei vantaggi d’appartenenza all’Unione doganale con l’UE. Ma come sarà possibile ottenere nello stesso tempo una botte piena e una moglie ubriaca? Sarà la grande considerazione che si ha di se stessi di poter giungere a questo risultato contro ogni possibilità reale? O sarà che ai politicanti di lungo corso sarà permesso di raggiungere l’impossibile? Comunque sia, in tutti questo tempo che ci separa dal voto negativo del 15 gennaio non è emerso nulla che possa far pensare a una nuova strategia della May. Verrebbe da dire che anche prima del voto, le scelte della Premier hanno dato l’impressione di essere state subite. Era la situazione di fatto che le determinava, giustificate a posteriori come indicative della volontà di non deludere le aspettative degli elettori che si erano pronunciati in maggioranza a favore della Brexit. Il lungo e defatigante lavoro del negoziato con i rappresentanti dell’UE sembrava l’accettazione di un sacrificio per giungere al risultato voluto dagli elettori, senza tener conto degli interessi reali del RU. Mancano quattro giorni, dicevamo, e non si vede l’ombra di un piano B. I conservatori continuano a litigare. Una minoranza non lascia passare giorno senza scagliarsi contro la leader del loro governo e del loro partito. A che cosa mirino non si sa esattamente. Si sa che disturbano, che intorpidiscono le acque, che creano confusione. Mentre si sa invece che Corbyn, il leader dei laburisti, vuole la caduta del governo per andare ad elezioni anticipate, pensando di mettere a frutto per il suo partito le incongruenze, le incertezze, le divisioni dei conservatori. Sul fronte della Brexit tergiversa. Non vuole un’uscita senza accordo, ma non dice quale accordo vuole esattamente: con l’unione doganale o senza? Con la frontiera libera all’Irlanda del Nord o chiusa? Vuole una zona di libero scambio, o meno? Il silenzio su questi temi, che sono poi quelli dl negoziato con l’UE, è di regola. Nemmeno sulla possibilità di un nuovo referendum, come è stato chiesto da deputati del suo stesso partito, si è mai pronunciato. Che vuole, allora, effettivamente? I suoi critici lamentano che sia ancora legato ai miti ottocenteschi del marxismo continentale e che la sua visione della modernità sia bloccata da questi ceppi. Comunque sia, c’è poco da espettarsi anche da lui, perché senza una visione strategica anche il socialismo inglese non va molto lontano. E allora? C’è chi ha alzato grida di gioia per le dichiarazioni fatte dalla Regina Elisabetta, in occasione del pranzo di gala offerto ai Sovrani olandesi a Buckingham Palace, con le quali ha esortato a trovare un “terreno comune” e a “non perdere mai di vista lo scenario più ampio”. Parole interpretate come un velato riferimento all’uscita del RU dall’UE e al dibattito in corso nel Paese. Nessun riferimento diretto alla Brexit, ma questo discorso è stato letto come un monito nemmeno troppo velato, all’attuale situazione politica del Reno Unito, come un appello a scegliere la strasa dell’unità, del dialogo e del superamento delle divisioni, come valori guida consigliabili a tutti. Come sempre, anche su questo intervento, il primo dopo il risultato del referendum, le opinioni divergono e cercano di portare acqua al mulino di chi le esprime. Altro che unità! Su tutto ormai ci si divide! Figurarsi su un’opinione espressa dalla Sovrana, dopo che il suo equilibrato silenzio, aveva caratterizzato questi lunghi mesi di dibattito e di divergenze! E allora? Lo ripetiamo. Siamo ansiosi  di conoscere come andrà a finire. Ci sconcerta la mancanza di strategia su entrambi i fronti. Vorremmo sperare che fosse soltanto apparente questa mancanza e che invece i contendenti avessero un asso nella manica: rinvio della data d’uscita e nuove prospettive per il negoziato, senza escludere un nuovo referendum. Che prendano tempo i britannici. Se la Brexit è un problema loro, come abbiamo affermato in altre occasioni, se la risolvano in casa. Soltanto dopo potranno dirci, con certezza, se vogliono uscire o se vogliono restare. E sarà più semplice, eventualmente, un nuovo negoziato.

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