Europa

Non certa la nomina di Ursula von der Leyen alla presidenza della commissione europea

Il Parlamento europeo la deciderà il 16 luglio

Martedì prossimo, 16 luglio, alle ore 18, il Parlamento europeo ha all’ordine del giorno la votazione per la presidenza della Commissione europea. Come è noto, il Consiglio europeo, cioè l’organo che riunisce i capi di stato o di governo dell’UE, ha proposto la candidatura del ministro tedesco della Difesa Ursula von der Leyen. Questa proposta, come prevedono i trattati, deve essere approvata a maggioranza dal Parlamento europeo. In caso contrario, il Consiglio europeo dovrà proporre un’altra candidatura. Il nome della Von der Leyen era stato accolto all’inizio con un sospiro di sollievo, dopo i ritiri di Manfred Weber, presidente del gruppo del Ppe, di Frans Timmermans, socialista olandese, già vice presidente della Commissione europea, e della liberale Margrethe Vestager, commissaria danese alla Concorrenza. Tutte e tre queste personalità erano spitzencandidaten, cioè “candidati di punta” dei tre più importanti gruppi politici del Parlamento. Fino a ieri, era tradizione che il candidato alla Commissione europea fosse lo spitzencandidat del gruppo più votato, in questo caso il bavarese Weber. Ma il presidente francese Macron ha posto un veto all’applicazione di questo metodo e dopo un negoziato abbastanza inconcludente, alla fine è improvvisamente spuntato il nome della Von der Leyen, accettato da tutto il Consiglio europeo. Se il nome del ministro della Difesa tedesco ha accontentato i capi di Stato e di Governo, altrettanto non si può dire dei parlamentari, che si sono visti sottrarre  il principio dello spitzencandidat, da loro scelto nel passato e che aveva dato buona prova, rendendo più facili e meno complicati i negoziati per l’assegnazione delle altre candidature, nel rispetto dell’equilibrio fra nazionalità e tendenze politiche. Secondo le opinioni emerse in questi ultimi giorni la nomina della Von Leyen non è data così sicura come sembrava in un primo momento. I motivi di questa incertezza sono rappresentati da almeno tre ostacoli. Il primo è appunto quello dei parlamentari che considerano negativo l’aver accantonato il meccanismo dello spitzencandidat da parte dai capi di Stato o di Governo, secondo il quale il nuovo presidente deve essere scelto fra i “candidati di punta” espressi dai partiti europei prima delle elezioni. Il secondo ostacolo è di natura istituzionale. Il compromesso su Von der Leyen è stato trovato in Consiglio dagli staff dei capi di stato e di governo, ma molti parlamentari europei si considerano indipendenti dai governi, soprattutto quelli eletti con partiti che non sostengono il governo del proprio Paese e rivendicano di votare come meglio credono. In più, pur sapendo che le scelte in Europa rimangono influenzate dai gruppi politici, non sempre tra le due istituzioni: Consiglio europeo e Parlamento, il coordinamento fra i membri della stessa tendenza  funziona perfettamente. I capi di governo dei Popolari, ad esempio, potrebbero su diverse questioni, avere un’opinione diversa dei parlamentari del Ppe. Nel caso in questione,  molti parlamentari, anche tedeschi, non hanno accettato che il loro presidente fosse sacrificato in modo così sbrigativo da Macron e soci. Il terzo ostacolo è di natura politica e riguarda il programma della nuova Commissione. Sono in corso da giorni gli incontri della candidata con le varie famiglie politiche per raggiungere accordi che permettano un voto favorevole. Il caso dei Verdi è emblematico. Avevano chiesto alla Von der Leyen la riduzione delle emissioni di gas serra del 55 per cento rispetto ai valori del 1990, come proposto dall’intero Parlamento europeo nel 2018. Ma la Von der Leyen è passata da un iniziale 40% a un 50%, non andando oltre. I Verdi non hanno ceduto, e per questa ragione le voteranno contro. I Popolari hanno invece dichiarato che la sosterranno, mentre le altre due principali famiglie politiche europee, quella dei socialisti e quella dei liberali, stanno ancora trattando e non hanno ancora raggiunto un compromesso. L’incontro con i socialisti non è andato troppo bene, tanto che la capogruppo spagnola Iratxe Gercia ha precisato che il suo gruppo ha avanzato proposte molto concrete, ma che non ha avuto risposte sufficienti. Anche i parlamentari italiani Calenda e Toia hanno spiegato che la candidata tedesca è sembrata piuttosto deludente su temi fondamentali come il superamento di Dublino, la flessibilità per gli investimenti, lo stato di diritto e migration compact. Una certa ostilità alla candidatura della von der Leyen è stata espressa anche tra i socialisti belgi, olandesi e greci. Molto critici i socialisti tedeschi che in un documento di due pagine spiegano perché a parere loro la candidata è inadeguata per l’incarico di presidente della Commissione europea. Anche i liberali europei, in una lettera resa pubblica, insistono sull’introduzione di un meccanismo di sanzioni per i paesi che non rispettano le leggi europee sulla stato di diritto e sulla nomina della loro ex candidata di punta Margrethe Vestager a vice presidente della Commissione.

Sono molti i punti non chiariti negli incontri di questa settimana. Ci sarà ancora tempo per giungere a compromessi che permettano un voto favorevole? Ne dubitiamo. Ma le ragioni politiche sono forti tanto nel senso di una approvazione della candidatura, quanto in quello contrario di un respingimento. Martedì sera sapremo come sarà andata a finire.

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