Siamo alla vigilia delle Elezioni europee
Nessuna novità di rilievo, se non incertezza e timore del dopo
Mancano 13 giorni alle elezioni del Parlamento europeo e non si ha l’impressione d’essere in campagna elettorale. E’ vero che rispetto al passato i metodi propagandistici sono cambiati. Niente più comizi, o quasi. Niente manifesti appiccicati da tutte le parti. Niente volantini nelle buche delle lettere, casa per casa. Nemmeno la televisione pubblica, che poi è una televisione dei partiti al governo, riserva programmi speciali ogni sera per presentare i candidati delle varie liste. Sono nate, invece, molte iniziative sul web. Richiami continui ad andare a votare si succedono a immagini che ricordano fatti significativi del passato. Ma non si pubblicizzano programmi e temi in particolare, che potrebbero rappresentare altrettanti capitoli d’impegno per il futuro. I partiti sono restii ad impegnarsi su questo terreno. Quasi tutti invece parlano di cambiamento. Bisogna cambiare questa Europa, vogliamo un’Europa diversa. Nessuno però dice che cosa deve cambiare e quali proposte i partiti presentano. L’Europa diversa che auspicano, in che cosa deve diversificarsi. Lo immaginiamo: nella gestione dell’immigrazione, nella modifica dell’austerità, nel lasciare più spazio agli Stati che spendono oltre il dovuto, ecc. Sono lamentele che sentiamo da anni. Ma in che cosa deve consistere la diversità? Nel lasciare maggiore autonomia agli Stati in ordine alla politica di bilancio? Perché allora non presentare proposte concrete per modificare gli articoli dei trattati che si riferiscono a questo argomento, o per cambiare le direttive o i regolamenti che impongono queste norme restrittive? Dire che bisogna cambiare è semplice e facile. Troppo facile! Dire invece come e che cosa, richiede una maggiore conoscenza della questione e una capacità politica che riesca ad aggregare altri Paesi alle proposte che si formulano. Già è difficile emendare le norme esistenti. Ancor più difficile, per non dire impossibile, immaginare che l’attuale governo italiano riesca ad aggregare consensi tra i 27 Paesi membri per delle riforme che non sono ancora concertate e che forse non esistono ancora nemmeno nelle menti dei partiti che parlano di Europa diversa o da cambiare. Sono penosi i discorsi che ogni tanto si sentono sull’Europa. Quelli che sono contrari, non hanno il coraggio di dichiararlo apertamente, dato che i sondaggi indicherebbero una maggioranza a favore del rimanere nell’Unione europea e del mantenimento dell’euro. Quelli che sono a favore non dicono quali sono i vantaggi dello stare insieme e quelli ottenuti con l’uso della moneta comune. C’è una certa reticenza da entrambe le parti. Da un lato, nel non dire tutto il male che si pensa dell’Europa, anche quando questo male esiste (la mancanza di una politica estera, per es.); dall’altro nel non dichiarare esplicitamente che l’UE si deve trasformare in Unione politica, in modo da essere in grado di gestire una politica estera comune, insieme ad una politica di difesa e di sicurezza. Il che presuppone un finanziamento europeo della politica di difesa e una riduzione del finanziamento della protezione americana. Quindi maggiori spese a carico dell’Europa in questo settore, dato per scontato che le alleanze militari nell’ambito della Nato rimarrebbero agibili. Un’Europa con una sua voce autonoma e sovrana nell’ambito della politica internazionale presuppone una sua capacità autonoma di difesa, sia pure nel rispetto delle alleanze e dei trattati sottoscritti. E’ già difficile da raggiungere una sovranità europea. Immaginiamo un attimo quali potrebbero essere le difficoltà oggettive di una sovranità nazionale. Siamo sovranisti, ma per una sovranità europea da raggiungere il più rapidamente possibile. Quella nazionale renderebbe impossibile quella europea e con la sua eventuale realizzazione dalla padella si cascherebbe nella brace. Il futuro dell’Europa passa da questi traguardi ambiziosi. Ma bisogna essere ambiziosi per immaginarli e per volerli. Temiamo che i capi dei nostri partiti in competizione per le europee di ambizione di questo tipo, invece, ne abbiano poca. Ne hanno molta, moltissima per il potere, che purtroppo, all’Europa serve ben poco. Non ci rimane che sperare nella saggezza del popolo elettore, il quale non andrà certamente a votare nella proporzione dell’85,6 per cento, come nelle prime elezioni europee del 1979, ma che potrebbe non fare sfigurare l’Italia e votare per quei partiti favorevoli al sovranismo europeo. Avrà questa legittima ambizione l’elettore italiano?