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Una certa solitudine dell’Italia al tavolo dell’Europa nell’emergenza Covid: uno sguardo esterno e uno interno

Pubblichiamo la prima delle due parti di una interessante analisi di Niccolò Rinaldi, presidente di ‘Libericittadini’.

Perché l’Italia fa fatica a trovare ascolto in Europa? Al cospetto delle previsioni quasi catastrofiche del FMI (-9% del Pil per il nostro Paese, il più penalizzato al mondo dalla pandemia), in un dibattito politico che rischia di essere autoreferenziale e perfino piagnone, questo è l’intervento che ho presentato a nome di Liberi Cittadini (https://www.libericittadini.it/covid-19-leuropa-e-litalia/)

La posta in gioco

L’accordo che è stato raggiunto il 9 aprile dall’Eurogruppo è tanto buono, o tanto cattivo, che nemmeno chi lo ha contrattato riesce a capire se per lui è buono o cattivo. È un compromesso. Forse, come lo ha definito Davide Giacalone, miracoloso come un cammello che passa per la cruna dell’ago, ma un cammello striminzito. E come nei migliori compromessi, l’ordine delle stesse parole ne cambia il significato: a Roma o all’Aia possono definire la stessa cosa vantando di aver ottenuto “un MES senza condizioni, ma limitato alla spesa sanitaria”, oppure “un MES limitato alla spesa sanitaria, ma senza condizioni”; idem per i Corona Bond, discussi ma non concessi, o non concessi ma sul tavolo.

Non sono sofismi: è la stagione dell’Europa, ragionevole ma senza slanci, senza slanci ma ragionevole. Si vedrà dove penderà la bilancia, per ora siamo solo alla tappa numero uno di un percorso che ci accompagnerà per mesi, magari per anni, punto per punto, scadenza per scadenza, scandito da malumori tedeschi e italiani, inquietudini della maggioranza e dell’opposizione, dei cittadini che si lasciano trascinare da un nazionalismo di ritorno e di coloro che più che contro Bruxelles si ribellano contro Roma.

L’Europa, e l’Italia, si ritrovano comunque a uno spartiacque e il “niente sarà più come prima” tira fuori tutto ciò che c’era prima, contraddizioni pregresse italiane ed europee, con le quali inesorabilmente dobbiamo fare i conti. Che non sia una maturazione politica e sociale, ma un oscuro virus orientale a scuotere le fondamenta ideali degli europei e la loro capacità di difendere i propri interessi, dei pipistrelli e non la saggezza di Altiero Spinelli, è uno di quei fatti straordinari che nessun centro studi aveva previsto. La scossa è così forte che in realtà dobbiamo augurarci, come europei e come italiani, che “niente sia come prima”.

L’incapacità di previsione

Che nessun altro fosse davvero preparato a fronteggiare una pandemia, non è una consolazione, per un’Europa che si picca di costituire l’aera al mondo di maggiore intelligenza politica e tutela sociale. Terra dove regnano unità di crisi, centri di studi, accademie, politica vibrante, sistemi sanitari pubblici d’avanguardia, l’Europa deve migliorare la sua rete di centri di osservazione strategica, aggiornarne le metodologie di analisi. Il presente ci riserva il Covid, il futuro forse qualcosa di molto diverso, anche di peggio, ma come Bill Gates aveva avvertito, niente, a scrutare con attenzione l’orizzonte, è davvero imprevedibile. Eppure il rischio pandemico non era stato previsto.

La non-Europa per la prima risposta

A emergenza lanciata, l’Unione Europea avrebbe dovuto prendere in mano le redini della risposta, creando un tavolo di confronto permanente tra le varie autorità sanitarie dei paesi membri, e attivando in modo sistematico, e non soltanto occasionale come è accaduto, il Meccanismo di Protezione Civile Europea. RescEU è un sistema operativo che ha portato nel mondo la parte migliore di un’Europa solidale e operativa, ma che nel momento del massimo bisogno non è stato offerto ai suoi cittadini. Mancando la volontà politica, si è privata l’Unione Europea di un coordinamento per disporre personale e materiale nei luoghi e nei tempi giusti, secondo le esigenze e sulla base di una capacità di reazione europea e non nazionale. I cittadini avrebbero avuto anche la percezione di un’Europa solidale e fattiva, al loro fianco con servizi e volti. Niente è perso: in caso di ripresa autunnale della pandemia, si superi la logica occasionale della solidarietà europea, creando strumenti di concertazione sistematica delle politiche sanitarie e innescando il coordinamento della Protezione Civile Europea.

L’Europa per la ripresa

Da quel che vediamo, la frammentazione della risposta si sta replicando nelle modalità della graduale ripresa delle attività. Tuttavia in un mercato comune, in un regime di Schengen, dovrebbe essere la sede europea ad armonizzare e coordinare l’individuazione e i calendari della riapertura dei settori produttivi prioritari, le misure di sicurezze comuni da applicare alla mobilità, i dispositivi e le procedure per individuare i lavoratori che risultino immunizzati, l’applicazione delle migliore pratiche per mettere in sicurezza i lavoratori. Il rischio di riaperture secondo modalità esclusivamente nazionali, può minare non solo il contrasto alla pandemia, ma anche creare una distorsione del mercato interno se non addirittura aspetti di concorrenza sleale.

Il sostegno finanziario all’Italia

È indispensabile affrontare in sede europea questi aspetti operativi della gestione pre, durante e post pandemia anche per plasmare un’Europa fattiva e non ridotta alla sola dimensione delle politiche finanziarie, le quali sono comunque destinate a un ruolo protagonista. Soprattutto per l’Italia.

Il nostro paese ha e avrà sempre più bisogno, se non disdegnassimo le enfatizzazioni diremmo un “disperato” bisogno di sostegno finanziario. Gli italiani e la stessa classe politica italiana devono essere consapevoli che, piaccia o non piaccia, l’Unione Europea è il solo interlocutore disponibile nell’erogazione di questo sostegno. O preferiamo il FMI? O la Cina, che forse potrebbe supplire all’Europa, prendendosi in cambio, e solo per cominciare, vari gioielli industriali. O l’America dell’attuale amministrazione, arrivata in ritardo e che dovrà far fronte ai suoi problemi sociali?

L’Europa funziona con le sue regole, che l’Italia, MES compreso, ha contribuito a decidere, ma che ora devono essere adattate alle eccezionali circostanze e ispirate a una visione di solidarietà effettiva che sia figlia di una riflessione strategica sulla tenuta del ruolo dell’Europa nel mondo. Gli strumenti discussi sono molteplici: un MES a suo modo “in deroga”, l’emissione dei cosiddetti Corona bond, finanziamenti BEI, sussidi contro al disoccupazione (Sure, che noi vedremmo bene erogati direttamente dalla Commissione, per dargli un volto europeo), progetti transfrontalieri di investimento pubblico da finanziare con risorse proprie europee anche attraverso una rafforzata tassazione europea su aspetti transfrontalieri, il Fondo ad-hoc per la ripresa. Il dibattito sulla “solidarietà” europea sarà articolato nelle varie proposte e prolungato – siamo soltanto all’inizio.

Tuttavia, questa solidarietà avrà sempre una qualche forma di condizionalità, più o meno “leggera”. Escluderla significa cullarsi in un’illusione: qualunque siano gli strumenti che alla fine saranno concordati (perché alla fine un accordo, per quanto inadeguato, ci sarà e già si comincia a vedere), si tratterà sulle condizioni, con qualunque nome esse possano essere mascherate.

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