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A Perugia processo d’appello per l’espulsione della kazaka Shalabayeva

A proposito di Kazakistan, chi si ricorda di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa dall’Italia verso il Paese asiatico nel 2013 insieme alla figlia Alua? A poco più di un anno dalla sentenza di primo grado che nell’ottobre del 2020 condannò, tra gli altri, due alti dirigenti della polizia di stato, Renato Cortese e Maurizio Improta, è tornato in aula il 17 gennaio, davanti alla Corte d’appello di Perugia. Un processo di secondo grado con sullo sfondo la possibile prescrizione per alcuni dei reati contestati agli imputati, che in questi anni hanno sempre rivendicato la correttezza del loro operato.

In primo grado Cortese, che all’epoca dei fatti guidava la squadra mobile di Roma, e Maurizio Improta, al tempo capo dell’Ufficio immigrazione, sono stati condannati a 5 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Due anni e mezzo sono stati invece inflitti all’allora giudice di pace Stefania Lavore, 5 anni ai funzionari della mobile romana Luca Armeni e Francesco Stampacchia e 4 anni e 3 anni e 6 mesi quelli dell’Ufficio immigrazione Vincenzo Tramma e Stefano Leoni. In particolare per Cortese, Armeni, Stampacchia, Tramma, Leoni e Improta la condanna è per sequestro di persona. Gli imputati furono invece assolti da una decina dei capi d’accusa per falso ideologico, abuso e omissione d’atti d’ufficio. E’ proprio sugli altri presunti reati di falso per i quali sono stati condannati che si potrebbe aprire l’ipotesi della prescrizione.

Era il 28 maggio del 2013 quando Alma Shalabayeva venne fermata dalla polizia mentre si trovava in una villa a Casalpalocco, dove gli agenti stavano cercando il marito, il dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. Alla donna venne contestata l’accusa di possesso di un passaporto falso. Pochi giorni dopo venne espulsa insieme alla figlia di sei anni con l’accusa di essere entrata illegalmente in Italia e venne imbarcata su un aereo diretto in Kazakistan.

In primo grado il pubblico ministero ricostruì nel dettaglio tutta la vicenda, dalla perquisizione nella casa di Shalabayeva a Casalpalocco, alle procedure in questura e a quelle per l’espatrio fino al momento in cui madre e figlia furono imbarcate. Per il pm Shalabayeva “riferi’ piu’ volte i rischi che avrebbe corso se fosse tornata nel suo Paese” e il pericolo di subire violazione dei diritti umani vista la posizione del marito, rifugiato. Durante la sua arringa il legale di Cortese, l’avvocato Franco Coppi, ribadì invece che “per Alma Shalabayeva” il suo assistito “non aveva nessunissimo interesse istituzionale: che rimanesse in Italia, fosse trattenuta o fosse espulsa, erano questioni che per lui si possono definire assolutamente irrilevanti”. “Maurizio Improta ha sempre agito nella correttezza del suo operato e nell’ambito della sua competenza amministrativa – sostenne invece il legale dell’ex dirigente dell’ufficio immigrazione, l’avvocato Ali Abukar Hayo -. Una persona fedele alle istituzioni perché nata e vissuta in quelle istituzioni, una persona che da sette anni, dall’apertura del procedimento, già sta ingiustamente scontando una pena, essendo coinvolto in una vicenda alla quale è però estraneo”.

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