Amare la solitudine non denota necessariamente una personalità fuori norma
Stare da soli, voler stare da soli, può apparire un comportamento inappropriato, asociale, tanto agli occhi di chi prova quel desiderio quanto a quelli di chi nota la voglia di una persona di stare da sola. Ma voler stare da soli non è necessariamente un male o un modo per ritrovare se stessi.
Chi vuole stare da solo per scappare da qualcosa, non sta evidentemente vivendo in modo sereno. Ma questo desiderio di non stare dove ci si trova è il primo passo, sicuramente utile al soggetto che si trova a disagio, per capire quale è il proprio spazio, il contesto in cui si sta bene per quel che si sente di essere. E’ chiaro che vi sono situazioni in cui bisogna far buon viso a cattivo gioco, che le giornate storte capitano a tutti e che non sempre sul lavoro si è felici di quel che si fa e non si incorre in stress. Anzi. Ma non è chiaramente di questo che si sta parlando quando si parla di desiderio di essere altrove, questi sono episodi occasionali e complessivamente ordinari. Il problema è quando ci si trova alle prese con un costante e/o ricorrente desiderio di non essere dove ci si trova: provare voglia di evadere dall’ufficio un giorno è normale, per esemplificare, provarla tutti i giorni no.
Nella sua versione positiva, la solitudine è lo spazio dell’egoismo nel suo senso migliore, del tempo dedicato a se stessi, al volersi bene. Ed infatti la voglia di stare da soli in psicologia viene chiamata “sano egoismo”.
Di contro, la solitudine, intesa come senso di abbandono, di non appartenenza, può riguardare persone che vivono dentro un contesto famigliare o sociale attivo ma anche persone che sono letteralmente da sole. Queste due facce della stessa medaglia portano a comprendere che il problema non è stare da soli in senso stretto, ossia, senza nessuno da incontrare durante la giornata. Stare soli è un problema solo quando si ritiene che da soli si sia incompleti, irrealizzati e quindi, necessariamente, infelici.
Come segnala Antonio Polito in un commento sul magazine del Corsera, il problema, soprattutto tra i più giovani, quelli nati e cresciuti in mezzo ai social network, è l’idea che non si possa non essere connessi, almeno in via telematica, con altri. Viceversa, per appropriarsi pienamente di se stessi, è consigliato prendere carta e penna e cominciare a fare un elenco di cose che si vorrebbero e si sarebbe in grado di fare nel tempo in cui si è da soli: leggere libri, ad esempio, o ascoltare musica piuttosto che suonare uno strumento, o ancora fare due passi tra la natura.