La comunità internazionale chiede di fare luce sulle violazioni dei diritti umani nel Kashmir
La comunità internazionale, compresa l’Unione Europea, è sempre più preoccupata per il lungo conflitto tra India e Pakistan per la disputa sulla regione del Kashmir. La diatriba risale al 1948 quando, dopo la fine del dominio britannico, al popolo del Kashmir fu promesso dalle Nazioni Unite un voto plebiscitario sul suo status futuro. Dovevano cioè scegliere tra l’integrazione con l’India, il Pakistan oppure optare per l’indipendenza. Sia l’India che il Pakistan rivendicavano la regione himalayana e la conseguenza fu lo scoppio di due guerre. Le tensioni più elevate si rilevano nella parte del Kashmir amministrata dall’India, dove vivono circa i due terzi della popolazione.
L’India e il Pakistan, entrambe potenze nucleari, di recente sono tornate ad affrontarsi per la stessa questione e alla disputa si è aggiunta anche la Cina che esercita un’influenza crescente sulla regione in quanto le sue forze armate occupano piccole aree del Kashmir. Gli attacchi contro i civili sono frequenti, in particolare nella parte indiana del confine conteso, i prigionieri nel Kashmir amministrato dall’India sono stati sottoposti ad abusi e torture, tra cui “water-boarding, privazione del sonno e torture sessuali”, come rileva un rapporto di Association of Parents of Disappeared Persons e Jammu and Kashmir Coalition of Civil Society, due associazioni che si occupano di diritti umani. Le forze indiane sono state fortemente criticate per l’uso eccessivo della forza dall’ONU che ha chiesto un’indagine internazionale sulle violazioni dei diritti. Il responsabile per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, inoltre, ha chiesto di istituire una apposita commissione d’inchiesta.
Secondo uno studio pubblicato nel 2015 da Medici senza frontiere il 19% della popolazione prevalentemente musulmana del Kashmir soffre di disturbo da stress post-traumatico a causa del conflitto e delle condizioni in cui è costretta a vivere.