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L’Eritrea rivendica territori in Etiopia

Il governo dell’Eritrea sostiene che le sue truppe ancora presenti in Etiopia occupino in realtà “territori sovrani eritrei”, tornando a rivendicare una porzione di territorio contesa con Addis Abeba ai sensi dell’accordo di Algeri del 2000. Lo riferisce “The Reporter Etiopia”, precisando che Asmara fa riferimento in particolare alla città frontaliera di Badem e ad altri territori contesi sulla punta più settentrionale dell’Etiopia, zone che il governo del presidente Isaias Afwerki rivendica come eritrei. “Le truppe eritree si trovano all’interno dei territori sovrani eritrei senza alcuna presenza nella terra sovrana etiope”, si legge in una dichiarazione pubblicata lo scorso 28 febbraio dall’ambasciata eritrea nel Regno Unito ed in Irlanda, nella quale si afferma che le aree di confine sono sotto il controllo delle truppe eritree sin dal conflitto del Tigrè, durato due anni e concluso a novembre del 2022. Si tratta, si legge ancora, di “territori sovrani eritrei che il Tplf (il Fronte di liberazione popolare del Tigrè) ha occupato illegalmente ed impunemente per due decenni”.

I termini dell’accordo di pace di Pretoria, che ha messo fine al conflitto tigrino, prevedevano il ritiro dal nord etiope delle forze alleate con il governo federale del premier Abiy Ahmed: fra queste le milizie regionali amhara, note come Fano; e le stesse truppe eritree, sebbene né le une né le altre fossero esplicitamente citate nel testo. È da questa assenza dell’Eritrea dalle trattative per l’accordo di pace, siglato a Pretoria il 2 novembre 2021, che il già precario equilibrio esistente fra Etiopia ed Eritrea dopo l’accordo di riconciliazione del 2018 si è sgretolato, portando le truppe eritree a mantenere le loro posizioni al confine ed impedendo agli abitanti di quelle zone di rientrare a casa dopo la fine del conflitto. Durante la guerra il governo etiope ha negato a lungo che le forze eritree fossero implicate nei combattimenti, nonostante ripetute denunce internazionali a questo proposito. I funzionari dell’amministrazione provvisoria del Tigrè e il suo presidente Getachew Reda denunciano da tempo al governo federale etiope quella che di fatto vivono come un’occupazione del loro territorio da parte delle forze eritree, che dopo la guerra non si sono mai ritirate oltre il confine.

Lo scorso 28 febbraio, nel suo intervento al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite il vicesegretario generale Onu per i diritti umani Ilze Brands Kehris ha dichiarato che il suo ufficio “ha informazioni credibili che la Forza di difesa eritrea (l’esercito) rimane nel Tigrè e continua a commettere violazioni transfrontaliere, vale a dire rapimenti, stupri, saccheggi di proprietà, arresti arbitrari e altre violazioni dell’integrità fisica”. Secondo l’amministrazione tigrina, peraltro, il 52 per cento delle terre della regione etiope non è ad oggi coltivabile proprio a causa della presenza delle forze eritree ed amhara, esponendo la zona ad un altissimo rischio di carestia. Come sottolineato a “Ethiopian Reporter” dal vice capo dell’Ufficio regionale dell’agricoltura del Tigrè, Adolom Berhan Harifyo, il governo federale etiope non ha pienamente attuato l’accordo di Pretoria e la maggior parte delle aree che producono alti rendimenti nella regione sono state catturate dalle forze eritree. L’effetto finale è che su una previsione di raccolto di circa 15 milioni di quintali di grano a metà dell’anno fiscale in corso è stato possibile ottenerne solo 5 milioni, ovvero il 33 per cento del totale. Nella regione tigrina ci sono complessivamente 1,3 milioni di ettari di terreno coltivabile, di cui 640mila sono stati coltivati. In tutto, nel Tigré è coltivabile il 48 per cento del territorio.

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