Pandemie no, ma epidemie tante. E i virus sono sempre più evoluti e pericolosi per l’uomo
Solo nel 2024 si sono già verificate nel mondo 17 epidemie di malattie pericolose e in particolare quelle dovute al virus Marburg, al vaiolo delle scimmie (Mpox) e all’ultimo ceppo di influenza aviaria. Si tratta di «un duro promemoria della vulnerabilità del mondo alle pandemie» secondo quanto ha scritto l’organizzazione mondiale della Sanità nel rapporto del Global Preparedness Monitoring Board (Consiglio di monitoraggio della preparazione globale), col quale mette in guardia da «una serie di rischi che aumentano la probabilità di nuove pandemie».
La mancanza di fiducia tra e all’interno dei Paesi, la disuguaglianza, l’agricoltura intensiva e la probabilità di contaminazione tra esseri umani e animali sono tra le principali minacce identificate, ma c’è anche una buona notizia, seppur passibile di smentite future. Fino a metà 2024, non esistono prove di trasmissione da uomo a uomo del virus H5N1. Tra il 2003 e l’1 aprile 2024, l’Oms ha dichiarato di aver registrato un totale di 889 casi umani di influenza aviaria in 23 paesi, inclusi 463 decessi, portando il tasso di mortalità al 52%, ma complessivamente i casi di trasmissione all’uomo sono molto rari. Il problema però è che il virus ha colpito e provocato la morte anche molte specie di mammiferi e tra questi ultimi vi sono molti animali con cui l’uomo ha molta prossimità, come ha sottolineato Jeremy Farrar, capo dell’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite, in una conferenza stampa a Ginevra, avvertendo che «questo virus è solo alla ricerca di nuovi ospiti. È una vera preoccupazione». Farrar ha anche affermato che sono in corso sforzi per lo sviluppo di vaccini e terapie per l’H5N1 e ha sottolineato la necessità di garantire che le autorità sanitarie regionali e nazionali di tutto il mondo abbiano la capacità di diagnosticare il virus, in modo che «se l’H5N1 arrivasse agli esseri umani, con trasmissione da uomo a uomo, il mondo sarebbe in grado di rispondere immediatamente».
In un recente rapporto anche l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa) hanno espresso forte preoccupazione: «Se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala». In piena pandemia, nel 2020, è inoltre comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione. Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti.